Arrivano novità riguardo la sicurezza dei lavoratori, vista la recente sentenza della Corte di Cassazione. Questa ha stabilito che, nel caso in cui il datore di lavoro non provveda a garantire tutti gli strumenti per la totale sicurezza dei lavoratori, un eventuale decesso è imputabile come omicidio colposo.
In questo caso, l’udienza ha trattato il problema del danno da esposizione all’amianto. Che, come sappiamo, è un materiale che in passato veniva utilizzato tantissimo soprattutto per la realizzazione dei tetti. Ma che poi si è scoperto essere un elemento tossico e nocivo per la salute delle persone, e il suo utilizzo è diventato quindi illegale.
Vediamo in cosa consiste la decisione della Cassazione.
Advertisement - PubblicitàIl caso trattato durante l’udienza ha posto in accusa una S.p.A. È risultato che una delle dipendenti dell’azienda, assicurata con la mansione di addetta a montaggio e smontaggio, avesse riportato delle lesioni gravissime dovute all’esposizione all’amianto.
La donna, che in seguito ha dovuto combattere con la nascita di un mesotelioma pleurico. Si tratta di una tipologia gravissima di tumore maligno, che nasce dalla cavità toracica e colpisce i polmoni. La dipendente purtroppo è deceduta.
Le analisi e gli studi medici effettuati però, hanno riportato la presenza di particelle di amianto nel corpo della donna. Definendo che la causa della comparsa del tumore sia dovuta proprio all’esposizione alla sostanza tossica.
Advertisement - PubblicitàLa Cassazione, con la sentenza n. 12151 del 15 aprile 2020, ha stabilito che, nonostante le particelle di amianto ritrovate fossero di piccole dimensioni, il nesso causale sussiste.
Il perito nominato per il caso, ha infatti appurato che la nascita del tumore sia da imputare all’esposizione all’amianto. E che l’unica occasione che la donna avesse di inalare particelle di amianto, era in ambito professionale.
Sono intervenuti anche diversi testimoni ad appoggiare la tesi. Colleghi di lavoro della donna defunta che hanno voluto denunciare ciò che accadeva all’interno dell’azienda. Questi erano addetti allo stesso settore della vittima, e confermano che durante l’utilizzo di trapani e svitatori, si liberavano nell’aria polveri di amianto. Come se non bastasse, questi hanno dichiarato che l’impianto di aspirazione non funzionava, e che nessuno si preoccupava di effettuare i dovuti controlli.
Insomma, i legali dell’azienda accusata non hanno potuto fare niente di fronte a così tante prove e testimonianze. E ora i responsabili dell’S.p.A. dovranno rispondere del reato di omicidio colposo.
La Cassazione afferma quindi che:
“La violazione delle norme sulla prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro, che conduce alla morte del lavoratore, configura omicidio colposo in capo al datore di lavoro”.
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