Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7370 del 3 settembre 2024, ha recentemente pronunciato una sentenza che chiarisce i limiti del potere di annullamento d’ufficio da parte dei Comuni in materia di edilizia. La vicenda ha coinvolto il Comune di Canosa di Puglia e un privato cittadino, il quale, dopo aver ottenuto un permesso di costruire per silenzio assenso, si è visto revocare l’autorizzazione edilizia a seguito di un provvedimento di autotutela.
Il caso ha suscitato molte domande: fino a che punto l’amministrazione comunale può intervenire su atti già consolidati? E quali sono i requisiti che giustificano un annullamento d’ufficio?
Analizziamo insieme questa importante sentenza.
Sommario
Il caso in questione ha origine nel 2017, quando un cittadino di Canosa di Puglia ha presentato al Comune una richiesta di permesso di costruire per la demolizione e ricostruzione di un fabbricato.
A causa della mancata risposta dell’amministrazione entro i termini previsti dalla normativa (art. 20 del DPR 380/2001), si è formato il cosiddetto silenzio assenso, che di fatto ha autorizzato i lavori richiesti. Il cittadino ha quindi proceduto con il progetto, confidando nella validità del titolo edilizio.
Tuttavia, successivamente, il Comune ha emesso un provvedimento di annullamento d’ufficio, ritenendo il titolo edilizio viziato da irregolarità e richiedendo la sospensione dei lavori. Questo ha portato il cittadino a ricorrere al TAR Puglia, il quale ha accolto il ricorso, annullando la decisione comunale.
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Advertisement - PubblicitàDopo la decisione favorevole del TAR Puglia al privato, il Comune di Canosa di Puglia ha deciso di impugnare la sentenza, portando la questione al Consiglio di Stato. Nel ricorso, l’amministrazione ha sollevato tre motivi di contestazione.
Prima di tutto, il Comune ha sostenuto che il permesso di costruire fosse nullo perché la richiesta iniziale era stata avanzata da una persona priva di legittimazione a procedere, in quanto non proprietaria dell’immobile interessato. Successivamente, il Comune ha messo in dubbio la validità del progetto, poiché parte della documentazione era stata firmata da un geometra, non abilitato a operare su edifici che prevedano l’uso del cemento armato, sollevando quindi un potenziale problema di sicurezza strutturale.
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Infine, l’ente locale ha ritenuto di avere il diritto di annullare d’ufficio il titolo edilizio, basandosi sull’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica. Il Comune, infatti, sosteneva che la concessione del silenzio assenso, considerata illegittima, non potesse prevalere sugli obblighi di tutela del territorio e sull’esigenza di conformità alle normative edilizie.
Advertisement - PubblicitàIl Consiglio di Stato ha analizzato i tre motivi di ricorso presentati dal Comune di Canosa di Puglia e ha respinto ciascuna delle contestazioni. In primo luogo, ha confermato la regolarità della procura presentata dal richiedente, ritenendo che il TAR avesse correttamente applicato la normativa processuale, consentendo la sanatoria del vizio formale relativo alla titolarità dell’istanza.
Questo significa che, sebbene vi fosse una carenza iniziale, la successiva regolarizzazione ha validato retroattivamente l’intera procedura.
Per quanto riguarda la competenza del geometra, il Consiglio ha evidenziato che il progetto non era stato realizzato esclusivamente da quest’ultimo, ma che la parte strutturale era stata seguita e validata da un ingegnere abilitato. Di conseguenza, non sussisteva alcun vizio sostanziale che potesse compromettere la validità del titolo edilizio. Questa decisione è stata presa anche considerando le dimensioni relativamente modeste dell’immobile, che non richiedevano particolari complessità progettuali.
Infine, riguardo all’annullamento d’ufficio, il Consiglio di Stato ha stabilito che il Comune non aveva adeguatamente motivato la decisione, limitandosi a invocare genericamente il ripristino della legalità urbanistica. In base alla legge 241/1990, infatti, un provvedimento di autotutela deve sempre essere accompagnato da una valutazione concreta dell’interesse pubblico e dalla comparazione tra i diritti del privato e le esigenze della collettività.
In assenza di una motivazione specifica e dettagliata, l’annullamento è stato ritenuto illegittimo.
Advertisement - PubblicitàUno degli aspetti chiave su cui si è soffermato il Consiglio di Stato riguarda la formazione del silenzio assenso e il suo valore giuridico. Il silenzio assenso, previsto dall’art. 20 del DPR 380/2001, si verifica quando la Pubblica Amministrazione non si pronuncia entro il termine stabilito su una richiesta di permesso di costruire, comportando l’accoglimento tacito dell’istanza.
Questo strumento è stato introdotto per evitare che i ritardi burocratici pregiudichino l’attività del privato, consentendo di procedere in assenza di un diniego espresso.
Nel caso specifico, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il silenzio assenso formatosi a favore del richiedente rappresentava a tutti gli effetti un titolo abilitativo legittimo, confermato già dalla sentenza del TAR Puglia. Tuttavia, l’ente locale ha tentato di annullare tale titolo sostenendo che la concessione fosse frutto di un’irregolarità originaria e che il Comune fosse tenuto a ripristinare la legalità urbanistica.
La questione, quindi, non riguardava solo l’interpretazione delle norme sul silenzio assenso, ma anche la tenuta giuridica del provvedimento formatosi e i limiti entro cui un Comune può intervenire per annullarlo. Secondo il Consiglio di Stato, una volta accertata la legittimità del silenzio assenso, l’interesse pubblico deve essere motivato con elementi concreti e attuali, non potendo essere richiamato in modo generico e astratto.
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