Il TAR Lazio annulla un provvedimento tardivo di autotutela su un permesso di costruire, tutelando il legittimo affidamento dei cittadini e chiarendo i limiti temporali per l’annullamento d’ufficio di titoli edilizi.
Una recente sentenza del TAR Lazio ha stabilito che un Comune non può annullare in autotutela un permesso di costruire in sanatoria dopo un periodo di tempo eccessivamente lungo, soprattutto se ciò va a ledere il legittimo affidamento dei cittadini. Il caso riguarda un provvedimento con cui un Comune ha revocato un permesso edilizio rilasciato quasi vent’anni prima, ordinando la demolizione delle opere realizzate.
Tuttavia, il TAR ha ritenuto che l’ente locale avesse esercitato il suo potere in violazione dei termini di legge, rendendo l’annullamento illegittimo.
Ma quali sono i limiti dell’autotutela amministrativa? Quando un cittadino può far valere il proprio diritto al legittimo affidamento? E quali sono le conseguenze di questa sentenza per il settore edilizio?
Sommario
La vicenda ha origine da due permessi di costruire in sanatoria rilasciati nel 2006 e nel 2007, con cui il Comune aveva regolarizzato interventi edilizi su un fabbricato rurale. In particolare, i permessi consentivano il cambio di destinazione d’uso di alcune unità immobiliari, la realizzazione di ampliamenti e l’adeguamento della struttura preesistente.
Gli interventi erano stati autorizzati nell’ambito del condono edilizio previsto dal Decreto-Legge 269/2003, poi convertito nella Legge 326/2003.
Tuttavia, nel 2024, il Comune ha deciso di annullare questi permessi, sostenendo che le opere non fossero state realizzate entro il termine previsto dalla normativa sul condono, ovvero il 31 marzo 2003. A supporto di questa tesi, l’amministrazione ha fatto riferimento a una consulenza tecnica redatta nel 2008, la quale, attraverso l’analisi di immagini aeree dell’epoca, aveva rilevato che il fabbricato oggetto di sanatoria non risultava presente alla data del 12 luglio 2003.
Nonostante questa relazione fosse già in possesso del Comune dal 2008, nessun provvedimento era stato adottato per oltre 15 anni. Solo nel 2024 l’ente ha avviato il procedimento di autotutela, culminato con l’annullamento dei permessi di costruire e con l’emanazione di un’ordinanza di demolizione.
Tra i destinatari di questo provvedimento vi era un cittadino che, nel frattempo, aveva acquistato una delle unità immobiliari, convinto della piena legittimità del titolo edilizio su cui si basava il suo atto di proprietà. Questo cittadino ha quindi impugnato l’ordinanza davanti al TAR Lazio, sostenendo che il Comune avesse agito in violazione dei limiti temporali previsti dalla legge per l’autotutela amministrativa e che, in ogni caso, lui non poteva essere penalizzato per eventuali errori o omissioni commessi dall’ente stesso in passato.
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Advertisement - PubblicitàIl TAR Lazio, con la sentenza n. 2702 del 2025, ha accolto il ricorso del proprietario, ritenendo che il Comune avesse esercitato il proprio potere di autotutela in violazione dei limiti temporali imposti dalla legge. La normativa di riferimento è l’articolo 21-nonies della Legge 241/1990, che stabilisce il termine massimo entro cui un’amministrazione può annullare un provvedimento amministrativo già adottato.
Attualmente, il termine per l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire è di 12 mesi dalla sua adozione. In passato, questo limite era di 18 mesi, ma in ogni caso, non è mai stato previsto che un provvedimento possa essere annullato a distanza di decenni, salvo situazioni eccezionali, come l’accertamento di dichiarazioni false.
Il TAR ha evidenziato che il Comune, già nel 2008, era a conoscenza della presunta irregolarità, avendo a disposizione una consulenza tecnica dettagliata che metteva in dubbio la legittimità della sanatoria. Tuttavia, l’amministrazione non aveva adottato alcun provvedimento per oltre 15 anni, lasciando che i cittadini interessati continuassero a ritenere validi i titoli edilizi rilasciati.
Secondo il Tribunale, questa inerzia amministrativa ha creato un legittimo affidamento nei confronti dei proprietari, che hanno agito in buona fede sulla base di un titolo formale rilasciato dal Comune stesso. Non si può, quindi, giustificare un annullamento d’ufficio dopo un periodo di tempo così lungo, poiché ciò contrasterebbe con i principi di certezza del diritto e di stabilità delle posizioni giuridiche.
Il TAR ha quindi dichiarato illegittimo l’annullamento del permesso di costruire e, di conseguenza, ha annullato anche l’ordinanza di demolizione che ne derivava.
Advertisement - PubblicitàUno degli aspetti centrali della sentenza riguarda il principio del legittimo affidamento, un concetto giuridico fondamentale che tutela i cittadini quando le pubbliche amministrazioni prendono decisioni che incidono sulle loro situazioni giuridiche.
Nel caso specifico, il proprietario che ha fatto ricorso al TAR aveva acquistato l’immobile in buona fede, basandosi su un permesso di costruire rilasciato regolarmente dal Comune. Inoltre, per anni aveva pagato tributi e imposte comunali senza che l’amministrazione sollevasse alcuna obiezione sulla legittimità del titolo edilizio.
Secondo il TAR, un Comune non può annullare un permesso di costruire senza tener conto delle conseguenze per chi ha acquisito diritti su quell’immobile, soprattutto quando il provvedimento viene revocato dopo un periodo di tempo eccessivamente lungo. Se l’ente locale non ha agito tempestivamente per correggere eventuali errori o irregolarità, non può poi trasferire il peso delle proprie omissioni sui cittadini, colpendoli con demolizioni o revoche dei titoli edilizi.
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Il TAR ha quindi ribadito che la pubblica amministrazione deve agire con coerenza e tempestività, evitando di creare situazioni in cui i privati si trovino improvvisamente privati di un diritto consolidato a causa di ritardi o negligenze degli uffici comunali.
Questa decisione rappresenta un precedente importante per chi si trova in situazioni simili: i cittadini che hanno acquistato un immobile con un permesso di costruire valido possono opporsi a provvedimenti tardivi di autotutela, facendo valere il proprio diritto al legittimo affidamento.
Advertisement - PubblicitàUn altro aspetto controverso della vicenda riguarda la contestazione di lottizzazione abusiva da parte del Comune. Nel provvedimento di annullamento del permesso di costruire, infatti, l’amministrazione aveva sostenuto che gli interventi edilizi in questione avessero determinato una trasformazione urbanistica illegittima dell’area.
Secondo il TAR, però, questa accusa non era adeguatamente motivata. Il Comune si era limitato a fare un generico riferimento alla “trasformazione anche delle aree circostanti” e a un presunto “aggravio dei carichi urbanistici”, senza fornire elementi concreti per dimostrare che l’intervento rientrasse effettivamente nella fattispecie della lottizzazione abusiva.
Per contestare una lottizzazione abusiva, infatti, l’amministrazione deve dimostrare che:
Nel caso specifico, il TAR ha ritenuto che il Comune non avesse fornito una motivazione adeguata per supportare questa accusa. Di conseguenza, la lottizzazione abusiva non poteva essere invocata come giustificazione per l’annullamento del permesso di costruire e per l’ordinanza di demolizione.
Questa parte della sentenza è particolarmente rilevante perché evidenzia come gli enti locali non possano adottare provvedimenti sanzionatori senza un’adeguata istruttoria e una motivazione solida.