Con il governo a un bivio, la politica italiana è in attesa di mercoledì 20 luglio, quando il Presidente del Consiglio, Mario Draghi andrà in Parlamento per verificare se la maggioranza sussiste o se la sua esperienza a capo dell’esecutivo di questo Paese è giunta effettivamente al termine.
Con il governo a un bivio, a seguito del mancato appoggio di Conte e dei 5 stelle sulla conversione del Decreto Aiuti, la politica italiana è in attesa di mercoledì 20 luglio, quando il Presidente del Consiglio, Mario Draghi andrà in Parlamento per verificare se la maggioranza sussiste o se la sua esperienza a capo dell’esecutivo di questo Paese è giunta effettivamente al termine.
Sommario
Come è successo di consueto in questa legislatura, i peggiori nemici dei governi sono gli alleati. A seguito delle elezioni politiche del 2018, in Parlamento è mancata una maggioranza omogenea che consentisse un governo di legislatura (un governo cioè con una prospettiva di cinque anni – la durata intera della legislatura, che andrebbe a concludersi naturalmente nel 2023, salvo scioglimento anticipato delle Camere).
Le architetture politiche e partitiche hanno consentito nel 2018 – nonostante nessun partito avesse “vinto” le elezioni – di formare un governo basato sull’appoggio del Movimento 5 Stelle e della Lega, i due maggiori partiti in Parlamento all’epoca. Quel governo durò circa un anno e nell’estate del 2019, ad agosto, fu l’alleato della Lega, guidata da Salvini a mettere fine al governo, con la speranza di chiudere la legislatura, tornare alle urne e capitalizzare il successo delle elezioni europee di maggio.
Nel 2021, fu Matteo Renzi, alleato del nuovo governo cosiddetto giallo-rosso (perché univa 5 stelle e Partito democratico, che successivamente avrebbe subito la scissione di Italia Viva), a mettere la parola fine al secondo governo Conte. Renzi non aveva mai dimostrato simpatia per il presidente Conte e accettò suo malgrado di entrare nel governo (ancora da Senatore del PD) per senso di responsabilità nei confronti del partito d’appartenenza.
Da settimane è Conte – forse per una sorta di legge del contrappasso al contrario – a sfiduciare giornalisticamente o a porre veti sul governo Draghi. Le frizioni avevano portato a una serie di negoziati che erano sfociate in una specie di ultimatum da parte di Conte, che aveva presentato un documento di priorità diviso in 9 punti.
Sebbene Draghi sembrasse aver tolto a Conte ogni motivazione politica per attivare la crisi di governo, nella giornata del 10 luglio Conte aveva annunciato che il Movimento 5 Stelle non avrebbe appoggiato il Governo nella votazione del 14 luglio, concernente la conversione del Decreto Legge “Aiuti”, su cui era posta la fiducia, aprendo di fatto le basi per la sfiducia.
Il testo tuttavia è passato, ma la maggioranza sembra essersi sgretolata e così Mario Draghi, seguendo le logiche di bon-ton istituzionale, si è recato al Quirinale dove ha formalmente rassegnato le dimissioni al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale le ha respinte, chiedendo al Presidente del Consiglio di recarsi alle Camere e verificare se ci sia o meno una maggioranza per tenere in piedi il governo, con un passaggio che è definito “parlamentarizzazione” della crisi, in quanto spetterà al Parlamento esprimersi sul Governo.
Tuttavia, nel tardo pomeriggio del 14 luglio, giorno in cui si è quasi consumata questa crisi, Conte ha fatto sapere che la loro contrarietà si limitava al singolo provvedimento votato in questa data e non al governo tout court. Resta difficile per il Presidente del Consiglio continuare l’avventura di governo con una coalizione così frammentata.
Advertisement - PubblicitàI Cinque Stelle avevano parlato di “profondo disagio politico”, circa la partecipazione a questa maggioranza di governo. I 9 punti hanno esplicitato le ragioni di questo disagio. Il documento, come tradizione pentastellata, era stato reso pubblico sul sito del Movimento, e si rivolgeva al Presidente del Consiglio. In premessa, il movimento guidato da Conte ha specificato come si sia messo a disposizione del Governo Draghi per senso di responsabilità nazionale.
Il sottotesto probabilmente è più o meno il seguente: “nonostante la nascita a seguito della defenestrazione di Conte”, infatti nel testo si parla di “generosità politica”. Il Movimento – sempre nella premessa – rivendica di aver deciso di “non volgere le spalle al Paese”. Scelta saggia, dato che il ruolo di ogni parlamentare è servire questo Paese.
Il testo continua rafforzando il senso di generosità dato che, recita il testo: “Non si può nascondere che il processo politico e la collocazione nel governo hanno pesato sul nostro elettorato. Lo hanno sfibrato e anche eroso”. Fatte queste premesse, il documento chiede al Governo una certa azione di discontinuità, soprattutto nel rapporto tra Presidente e Consiglio dei Ministri, degradato al ruolo di ente certificatore di scelte già prese dal singolo uomo al comando.
Il primo punto della lista di priorità del Movimento è il reddito di cittadinanza. Una scelta in piena coerenza con quello che per anni è stato il cavallo di battaglia dei 5 Stelle. Negli ultimi mesi, l’opinione pubblica aveva iniziato a criticare più aspramente del passato il reddito di cittadinanza. Il motivo è congiunturale, siamo in estate e c’è carenza di lavoratori.
La critica – sicuramente ingenerosa – è che il reddito di cittadinanza consente alle persone di stare a casa anziché andare a lavorare. Sembra un dibattito surreale, considerato il divario tra gli stipendi reali (per quanto bassi, per quanto stagionali) e il reddito di cittadinanza. Eppure il clima attorno alla misura introdotta dal governo giallo-verde era tale da prefigurare l’ipotesi di una sua cancellazione in un futuro prossimo.
Nel loro punto, dunque, i contiani rivendicano l’indisponibilità a “considerare ulteriori restrizioni ancora più penalizzanti, preordinate a restringere la portata applicativa di questa riforma”.
I punti successivi parlano di salario minimo (secondo punto), da introdurre come priorità, insieme alla reintroduzione del “Decreto Dignità” (terzo punto), del Governo Conte II, temporaneamente sospeso.
Il “Decreto Dignità”, dal punto di vista dei 5 stelle è una misura capace di contrastare il precariato.
Il quarto punto richiede un intervento straordinario per le famiglie e le imprese che si sostanzia in uno scostamento di bilancio e un importante taglio del cuneo fiscale per i lavoratori (in linea con quanto effettivamente fatto dal governo Conte II con il DL n.3 del 2020, strumento integrativo del vecchio “Bonus Renzi”).
Sempre nel rispetto dell’anima originaria del Movimento, il quinto punto parla di transizione ecologica, di prevedere una fine progressiva per l’estrazione e lo sfruttamento di energia fossile e di una contrarietà ad investire ulteriore denaro pubblico in favore di infrastrutture a gas.
Il sesto punto difende l’utilità e la necessità del Superbonus 110% per le ristrutturazioni e il recupero del patrimonio edilizio nazionale. Dal punto di vista del Movimento, le dichiarazioni di Draghi sul tema hanno creato un “clima di forte sfiducia” nei confronti del Superbonus. Conte chiede pertanto uno sblocco del meccanismo della cessione dei crediti. In effetti, la situazione per le imprese edilizie è decisamente critica, sicuramente anche a causa della situazione economica internazionale con le gravi ripercussioni sui livelli record dell’inflazione.
Infine, il settimo punto è dedicato al cashback (altra misura di epoca contiana, che incentivava l’utilizzo di metodi di pagamento elettronici); l’ottavo punto, focalizzato sulla rateizzazione delle cartelle esattoriali; ed, infine, l’ultimo punto sulla differenziazione dei ruoli tra Parlamento ed Esecutivo.
Advertisement - PubblicitàIl Presidente del Consiglio in carica e il suo predecessore si sono incontrati nella mattinata del 6 luglio.
Conte ha presentato la lista dei punti prioritari per il Movimento, specificando che non c’erano motivi pregiudiziali per cui i 5 Stelle non volessero più far parte della maggioranza. Anzi, ha spiegato il leader del Movimento che non c’è l’intenzione di uscire dal governo e dalla maggioranza, ma serve un cambio di passo.
In sostanza, Conte ha segnalato una volta di più le insofferenze del Movimento, lacerato e in difficoltà, colpito duramente dalla fuoriuscita di Di Maio e dei suoi fedelissimi.
L’ex Presidente del Consiglio ha messo in chiaro, in maniera schietta, che è necessario ascoltare anche il Movimento, dato che questo rappresenta una delle anime della maggioranza. In caso contrario viene naturalmente meno il rapporto di fiducia, in senso figurato e in senso tecnico, tra il gruppo parlamentare pentastellato e l’Esecutivo.
Advertisement - PubblicitàMario Draghi non è noto per la loquacità. Alle dichiarazioni roboanti e alle conferenze stampa troppo lunghe preferisce lavorare lontano dai riflettori.
Tuttavia, quando la situazione lo richiede, ha dimostrato di saper rispondere a tono. In questo caso, le risposte di Draghi sono arrivate quasi sempre in maniera implicita.
È salito al colle il giorno 12 luglio (votazione sul DL Aiuti alla Camera) e il 14 luglio (giorno della votazione al Senato, a seguito della quale ha formalmente rassegnato le dimissioni al Presidente Mattarella).
Ma nei giorni precedenti Draghi – pressato non solo dai 5 Stelle ma anche da Lega e sindacati – aveva risposto con delle controproposte e un programma da attuare per il futuro del suo governo.
Proprio tra l’11 e il 12 luglio, fonti di Palazzo Chigi, come riferisce il Corriere, facevano sapere che le dimissioni non erano un’ipotesi.
Nel frattempo il premier lavorava a quello che è stato definito un patto sociale per salvare l’Italia.
Il Presidente del Consiglio aveva infatti, in seguito all’incontro con i sindacati, annunciato un piano per difendere il potere d’acquisto degli italiani tramite un “corposo” intervento da effettuare entro luglio. Venendo incontro ad uno dei punti stilati dal Movimento 5 stelle aveva inoltre concordato sulla necessità del taglio del cuneo fiscale e dell’istituzione del salario minimo.
Si è poi espresso sui venti di crisi, dicendo che un governo sotto ultimatum non lavora. Come al solito Draghi è stato chiaro, al limite del lapidario. Tuttavia, fatto questo avviso generale, con riferimento ai 9 punti di Conte ha dichiarato di trovare molti punti di convergenza, e l’incontro con i sindacati “va esattamente in quella direzione”.
Sebbene non espressi in forma organica, anche Draghi ha rimarcato dei punti in agenda, molti dei quali nella direzione richiesta da Conte. Motivo per cui il 12 luglio, il quotidiano Domani titolava: “Draghi toglie a Conte ogni argomento per aprire la crisi”.
Il primo punto in agenda è il nuovo patto sociale, “per gestire la fase che […] attraverseremo nei prossimi mesi“. L’obiettivo del patto, lo si è detto, è la difesa del potere d’acquisto.
Si era parlato poi di un “provvedimento corposo”. Questo riguarderebbe – nelle intenzioni del premier Draghi – il taglio del cuneo fiscale e il salario minimo (ferma restando la centralità dei contratti collettivi). Sul cuneo fiscale, l’intervento dovrebbe “partire dai salari più bassi”, intervenendo “grazie agli spazi nella finanza pubblica”. Al contempo è prevista una formula per contenere i tassi d’interesse.
Ma Draghi ha rinviato la presentazione di questa ipotesi a due settimane, una volta predisposto l’intervento, ma prima di presentarlo al Consiglio dei Ministri, in modo da poterlo discutere preventivamente con le parti sociali.
Ha dato poi un contro-ultimatum, asserendo in maniera decisa che “non c’è un governo senza M5s e non c’è un governo Draghi altro che l’attuale“. Insomma, il Presidente del Consiglio aveva fornito al leader dei 5 Stelle una buona base di dialogo, accelerando peraltro i tempi per l’esecuzione.
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