In tema di Superbonus 110% e cessione del credito, come sappiamo, nel corso degli ultimi anni sono state scoperte numerose frodi che hanno portato alla perdita di diversi miliardi di euro ai danni dello Stato.
Tali frodi consistono appunto nella creazione e nell’utilizzo di crediti d’imposta inesistenti, mediante la predisposizione di fatture false, al fine di monetizzare indebitamente importi spettanti per opere edili non eseguite o non ultimate.
In seguito alla scoperta delle tante truffe, il Governo Draghi aveva istituito il Decreto Anti-Frode, contenente appunto nuove restrizioni ferree sull’utilizzo dei crediti e nuovi provvedimenti atti a contrastare le operazioni fraudolente.
Il decreto Anti-Frode è entrato in vigore in data 12 novembre 2021. Successivamente è stato abrogato, ma tutte le disposizioni che conteneva sono state inserite all’interno della Legge di Bilancio 2022 e dunque, a parte le modifiche avvenute in seguito, le misure anti-frode sono tutt’oggi in vigore.
Nel caso in cui, quindi, un beneficiario del Superbonus 110% – o degli altri Bonus Casa che concedono la scelta delle opzioni alternative – dovesse monetizzare un credito d’imposta riferibile ad un’opera edilizia non ultimata, tale operazione costituirebbe una frode ai danni dello Stato.
Vediamo di seguito quali sono le conseguenze alle quali andrebbe incontro.
Sommario
Il caso di cui parliamo è stato oggetto di una recente sentenza penale della Corte di Cassazione, la n. 42012 dell’8 novembre 2022, trattata su FiscoOggi in data 4 gennaio 2023.
La vicenda ha inizio in data 17 gennaio 2022, quando il Tribunale di Foggia dispone ai danni di alcune società il sequestro preventivo delle quote e delle aziende in possesso, nonché il sequestro dei crediti d’imposta derivanti da bonus edilizi, sia quelli già ceduti (anche con terza cessione) sia quelli ancora inutilizzati.
I proprietari delle società venivano accusati di non aver ultimato i lavori agevolabili per i quali hanno usufruito dell’Eco-Sismabonus e, quindi, dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa aggravata ai danni dello Stato. Per questo, il Tribunale li intimava alla restituzione di un importo pari a circa 1 milione di euro.
In seguito a ciò, due degli imprenditori imputati proponevano ricorso presso la Cassazione deducendo, tra le altre cose, l’inesistenza del fumus del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74 del 10 marzo 2000.
In altre parole, i soggetti denunciavano che non ci fossero indizi di colpevolezza concreti a loro carico in riferimento a tale reato, in quanto le fatture oggetto della sentenza erano state emesse in acconto, prima dell’inizio dei lavori agevolabili con l’Eco-Sismabonus.
Sulla base di questo, gli imputati sostenevano di non poter essere accusati di operazioni inesistenti né di aver lasciato l’opera incompleta alla data di emissione della fattura in quanto, appunto, la fattura veniva emessa prima dell’avvio degli interventi.
Advertisement - PubblicitàA nulla però è servito il ricorso in quanto, alla fine, la Cassazione ha riconosciuto la colpevolezza degli indagati, accusandoli di aver abusato della disciplina delle detrazioni fiscali legate ai bonus casa e di aver tratto illecito profitto dalla creazione e successiva cessione di crediti d’imposta inesistenti.
Al contrario di quanto sostenuto, infatti, il fumus del reato sussisteva eccome, in quanto le società degli indagati avevano disposto un vero e proprio meccanismo fraudolento ai danni dello Stato, emettendo fatture “reciprocamente l’una nei confronti dell’altra” in riferimento alla quasi totalità delle spese agevolabili.
Da queste fatture, si spiega, sono stati maturati crediti d’imposta di ingente valore che sono stati successivamente oggetto sia di compravendite reciproche tra le stesse società, sia di ulteriori cessioni a favore di altri soggetti.
Tutte le fatture emesse reciprocamente tra le due società, tuttavia, sono riferite esclusivamente al pagamento di acconti per lavori ancora da completare. Tra l’altro, si precisa, sono state emesse tutte nell’arco di pochi giorni di distanza.
Ma non è finita qui. In seguito all’avvio dell’operazione di cessione (tra le due società) del credito maturato tramite la piattaforma web, è emerso che:
Per queste ragioni, la Cassazione ha disposto che:
“I correlati crediti d’imposta, di importo corrispondente alla detrazione fittiziamente creata sono, dunque, inesistenti nella realtà, ma esistenti sulla carta e idonei all’utilizzo fiscale.”
Advertisement - PubblicitàLa Corte fa presente infine un punto molto importante.
In riferimento all’utilizzo degli incentivi fiscali legati ai bonus casa, il principio generale richiesto per poter distinguere le spese agevolabili da quelle non agevolabili è che le spese, per poter essere detratte con i bonus, debbano essere fatturate e pagate entro la scadenza dei bonus di riferimento.
Trattasi appunto del cosiddetto “criterio di cassa”, spiegato al punto 4 della Circolare n. 24/E dell’8 agosto 2020 dell’Agenzia delle Entrate in riferimento al Superbonus 110%.
Per questi motivi, si ricorda nuovamente che:
“[…] la fruizione dei bonus fiscali per gli interventi edilizi è indissolubilmente vincolata all’esecuzione completa degli interventi stessi, secondo quanto indicato nei relativi atti abilitativi e nei tempi previsti dagli atti stessi.”
Advertisement - PubblicitàPer quanto riguarda poi il fatto che le fatture siano riferibili ad acconti, la Cassazione precisa quanto segue:
“[…] è possibile, in linea generale, quando si deve semplicemente portare la spesa in detrazione in dichiarazione dei redditi, anticipare i pagamenti anche per lavori da eseguirsi, fermo restando che i benefici verrebbero revocati qualora i lavori non terminassero per intero come nei titoli edilizi.”
Il discorso però cambia se invece il credito d’imposta maturato lo si intende utilizzare con la cessione del credito o lo sconto in fattura.
La Comunicazione necessaria per poter accedere al Superbonus e ai Bonus Casa mediante le opzioni alternative, infatti, deve essere inviata solo a lavori ultimati, oppure alla fine dei lavori riferibili al SAL di riferimento (qualora il beneficiario avesse optato anche per la ripartizione in SAL).
Questo comporta il fatto che, anche nel caso in cui le fatture siano state emesse e pagate, le spese non potrebbero essere incluse tra quelle che danno diritto alla maturazione del credito se gli interventi edilizi non sono effettivamente conclusi.
Tra l’altro, per poter accedere ai bonus mediante le opzioni alternative, è necessario che il beneficiario sia in possesso del visto di conformità, che non può essere rilasciato in riferimento a lavori non ancora ultimati.
Visto quanto detto, si dispone che “[…] il motivo di ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile […]”, e pertanto:
“Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.”
Leggi anche: “Il Superbonus: dal 110% al 90%, le modifiche del 2023”
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