La Cassazione ha deciso che in caso di pignoramento di un bene in comune a causa dei debiti di un coniuge, entrambi i coniugi perdono la loro quota di proprietà.
Nel caso in cui due coniugi scegliessero di contrarre matrimonio con il regime della comunione legale, tutti i beni che verranno acquistatati dopo il matrimonio (sia insieme che singolarmente), risulteranno appartenere ad entrambi nella misura del 50% per ognuno.
La scelta del regime patrimoniale è obbligatoria nel momento in cui due soggetti decidono di sposarsi. Dovranno decidere in sostanza se optare per la comunione legale oppure per la divisione dei beni.
Ebbene, di recente la Cassazione ha chiarito che, qualora due coniugi optassero per la comunione del patrimonio – e successivamente uno dei beni in comune fosse interessato da un provvedimento di pignoramento per via di debiti maturati da uno dei coniugi – non sarebbe possibile per il coniuge innocente mantenere la sua quota di proprietà in riferimento al bene pignorato.
Approfondiamo di seguito.
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Sommario
La scelta del regime patrimoniale in comunione legale prevede dunque che la proprietà dei beni (mobili e immobili) acquistati in seguito al matrimonio, debba essere divisa tra i coniugi nella misura del 50%.
È bene chiarire che, successivamente al matrimonio, i coniugi possono sempre scegliere di cambiare idea riguardo al regime che hanno adottato. Per procedere con la modifica dovranno recarsi presso il notaio, il quale, in presenza di due testimoni, dovrà predisporre una nuova convenzione da allegare all’atto di matrimonio.
Vengono esclusi dal regime di comunione legale soltanto i beni considerati personali, ai sensi dell’art. 179 del Codice Civile.
I beni che non rientrano nella comunione legale sono i seguenti:
Il caso affrontato dalla Cassazione nell’Ordinanza n. 150 del 4 gennaio 2023 riguarda proprio un immobile condiviso in comunione legale tra due coniugi.
A causa del mancato pagamento di debiti tributari in capo ad uno dei coniugi, l’immobile di proprietà è stato sottoposto a procedura di esecuzione immobiliare esattoriale, ovvero pignorato e devoluto al patrimonio dello Stato.
Il coniuge innocente (la moglie) a quel punto, dopo aver ottenuto l’accertamento giudiziale della comproprietà dell’immobile nella misura del 50%, ha deciso di portare in Tribunale l’agente della riscossione che ha disposto la procedura di pignoramento dell’immobile.
Chiedeva, in sostanza, che venisse annullato o revocato il provvedimento di devoluzione dell’immobile, con anche il risarcimento dei danni subiti.
I giudici di primo grado hanno rigettato la tesi della donna, in quanto la giurisprudenza di legittimità prevede che i beni interessati dal regime di comunione legale che vengono espropriati a causa di debiti personali imputabili ad uno solo dei coniugi, debbano comunque essere pignorati nella loro interezza e non per metà.
Qui si è precisato che in questi casi, tra l’altro, si dispone anche lo scioglimento del regime di comunione legale in riferimento al solo bene interessato dal pignoramento.
Attenzione però, perché comunque al coniuge non debitore spetterà il ricavato della vendita o dell’assegnazione dell’immobile nella misura del 50% della sua proprietà.
Questo stesso giudizio è stato confermato sia dai giudici di secondo grado che dalla Corte di Cassazione. In sostanza, tutti i ricorsi mossi dalla donna sono stati rigettati, ma sarà possibile per lei almeno recuperare la sua quota di proprietà in termini economici.
Advertisement - PubblicitàLa Corte in particolare ha ritenuto infondata la tesi della donna perché – nonostante lei fosse estranea ai debiti tributari in capo al marito – comunque il pignoramento deve riguardare sempre il bene nella sua interezza.
In sostanza, si è convenuto che:
“[…] per il debito di uno dei coniugi, […] è sottoposto ad esecuzione per l’intero il bene ricadente nella comunione legale con l’altro coniuge, con conseguente esclusione di ogni irritualità o illegittimità degli atti della procedura, fino al trasferimento del bene a terzi […]”
In altre parole, in seguito al pignoramento, il coniuge innocente perde ogni diritto sulla sua quota di proprietà fino al momento in cui l’immobile non viene venduto o assegnato a terzi.
A quel punto, si spiega che:
“[…] non potendosi riconoscere al coniuge non debitore il diritto di caducare tali atti, né quello di ottenere la separazione di parti o quote del bene staggito o di conseguire dalla procedura esiti diversi dalla vendita per l’intero, salva la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuta in dipendenza dello scioglimento, limitatamente a quel bene, della comunione senza quote”.
La Cassazione afferma dunque che non solo il coniuge non debitore perderà ogni diritto sulla quota – fino al momento della vendita o dell’assegnazione – ma perde anche ogni diritto a contestare o richiedere l’annullamento di qualsiasi atto disposto, tra cui quello che ne dispone la vendita a favore di terzi.
Deve essere riconosciuta tuttavia, in questi casi, l’innocenza del coniuge estraneo ai fatti, e non può essere attribuito allo stesso l’onere di pagare debiti tributari che non sono imputabili alla sua volontà.
Per questo motivo – limitatamente al momento in cui si disporrà l’atto di vendita o di assegnazione dell’immobile a favore di terzi – il coniuge innocente riacquisterà il suo diritto di proprietà nella misura del 50% del bene.
Tale diritto permetterà al coniuge non debitore di ottenere la metà della somma lorda derivante dalla vendita o assegnazione dell’immobile.
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