I diritti reali sono quei diritti che conferiscono ad un soggetto la titolarità di una cosa o un bene. La normativa giuridica che disciplina il diritto reale in Italia è il Terzo Libro del Codice Civile, dove si spiega da subito che: “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”.
I diritti reali sono quei diritti che conferiscono ad un soggetto la titolarità di una cosa o un bene. La normativa giuridica che disciplina il diritto reale in Italia è il Terzo Libro del Codice Civile, dove si spiega da subito che: “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”.
Il nostro ordinamento giuridico però prevede che i diritti su beni e cose non siano circoscritti a svolgere un unico significato. In pratica, essere proprietario di un bene non significa per forza averne il possesso, così come avere di diritto di possesso su un bene non fa del soggetto il proprietario. Allo stesso modo, è possibile che un soggetto acquisisca il diritto di esercitare la sua volontà su una cosa, di cui però non è né titolare né possessore.
Insomma, esistono numerose forme di diritti reali, ed è necessario essere a conoscenza delle sostanziali differenze per sapere quale tipo di “potere” il soggetto possa esercitare su una proprietà.
Approfondiamo di seguito.
Sommario
È bene chiarire da subito che i diritti reali sono diritti soggettivi.
Questo significa che conferiscono ad un soggetto il diritto di pretesa (riconosciuto dall’ordinamento giuridico) su una cosa, e gli consentono di autorizzare o vietare agli altri di fare o non fare qualcosa a riguardo del bene. Allo stesso modo, il diritto reale dà anche al soggetto la facoltà di agire per difendere quel bene da eventuali minacce.
I diritti reali presentano le seguenti caratteristiche:
A questo punto, per comprendere meglio tutti i concetti, è doveroso spiegare quali sono i diritti reali riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano e in che modo sono distinti.
Advertisement - PubblicitàI diritti reali riconosciuti dal codice civile si distinguono in:
Generalmente quindi, quando si parla di potere assoluto, si sta parlando di piena proprietà esclusiva. Quando invece si dispone di un diritto parziale su un bene, significa che oltre al proprietario c’è qualcun altro che può godere di quel bene in qualche modo (a seconda di quale diritto esercita).
I diritti minori sulle cose altrui possono essere:
I diritti reali di godimento danno quindi la possibilità ad altri soggetti di godere di un diritto su una proprietà altrui, e di esercitarlo in maniera assoluta, ma limitata a quel solo diritto che esercitano.
Si suddividono in:
Il diritto di superficie distingue il diritto di proprietà di un terreno dal diritto di poterci potenzialmente edificare sopra.
Si costituisce nel momento in cui il proprietario di un terreno concede ad un altro soggetto di costruire all’interno del suo fondo un fabbricato. In questo caso, il proprietario del fabbricato sarà il soggetto che l’ha costruito, mentre i diritti sulla superficie sottostante rimangono al proprietario del terreno.
Tale diritto può costituirsi per legge oppure può essere frutto di un accordo tra le due parti. Nel momento in cui si costituisce il diritto di superficie, va a sospendersi il diritto di accessione (ovvero quel diritto naturale per il quale un bene appartiene al proprietario della superficie in cui giace).
Il diritto di superficie (che diventa “proprietà superficiaria” dopo la costruzione del fabbricato), se non diversamente specificato nel contratto tra le parti, ha valore indeterminato.
Se invece è prevista una scadenza, al termine del contratto cesserà la proprietà superficiaria e tornerà effettivo il diritto di accessione. Per far valere appieno questo diritto però, il proprietario della superficie dovrà acquistare il fabbricato costruito sopra il suo terreno.
Advertisement - PubblicitàL’enfiteusi è quel diritto minore (anche se in realtà è molto esteso) secondo il quale un soggetto acquisisce il diritto di godere di un bene non suo. Solitamente questa forma di concessione si applica ai terreni agricoli, ma non è escluso che lo stesso tipo di contratto possa venir fatto anche riguardo ai fabbricati.
Con l’enfiteusi, l’enfiteuta appunto ha la facoltà di pieno godimento del bene, che invece non spetterà più al legittimo proprietario. In sostanza, il proprietario (o direttario) rimarrà tale, ma non potrà utilizzare il bene a proprio piacimento.
L’enfiteuta (o livellario) invece, acquisirà il diritto di godere del bene e di beneficiare dei frutti che questo produce, con l’obbligo di rispettare due sole condizioni:
Il contratto di enfiteusi ha una durata minima di vent’anni, e su questo tipo di bene non può costituirsi il diritto di usucapione. Questo significa che se il livellario intende acquistare il fondo, potrà farlo solo esercitando il suo diritto di affrancazione.
In poche parole, secondo il diritto di affrancazione l’enfiteuta può acquistare tale fondo per una somma pari a 15 volte il canone annuo stabilito, e in tal caso il proprietario concedente non può rifiutarsi di venderlo.
D’altra parte invece, se il livellario non vuole acquistare il fondo ma continuare a pagare il canone annuo, il direttario non potrà costringerlo ad esercitare il diritto di affrancazione.
Advertisement - PubblicitàIl diritto di usufrutto può essere per certi versi accostato a quello di enfiteusi, e infatti consente ad un soggetto di godere di un bene altrui e di raccoglierne i frutti. A differenza dell’enfiteuta però, l’usufruttuario sarà tenuto a rispettare la destinazione economica del bene, ovvero non può modificarne la destinazione d’uso.
Al proprietario del bene rimane la nuda proprietà, ovvero la sola proprietà senza la possibilità di godimento, perché appunto il diritto di godimento sarà ceduto all’usufruttuario.
Il diritto di usufrutto ha valenza temporanea, e tende a scadere con la morte dell’usufruttuario (gli eredi non ne acquisiscono i diritti). Nel caso in cui invece l’usufruttuario sia una persona giuridica, il termine massimo è pari a 30 anni.
Secondo l’ordinamento giuridico italiano, anche un Comune può diventare usufruttuario nel momento in cui requisisce dei beni disabitati per utilizzarli a favore della pubblica utilità sull’interesse privato.
In sostanza, se il proprietario di un immobile non esercita il suo naturale diritto di usufrutto per più di 7 anni, ovvero non si serve del bene come residenza, non lo affitta e in generale non lo utilizza, il Comune può procedere con la requisizione del bene disabitato.
Non avendo però il potere di espropriarlo forzatamente, il Comune lo utilizzerà in godimento come usufruttuario, e lo affitterà a persone residenti in cambio di un canone di locazione. A quel punto, il proprietario manterrà la nuda proprietà del bene, ma perderà il diritto di usufrutto sullo stesso.
Il cedimento del diritto di usufrutto però viene fatto anche in maniera volontaria, magari per non pagare le spese relative ad un immobile che non si utilizza, o in alternativa può anche essere acquisito naturalmente. Per esempio, i genitori godono del diritto di usufrutto dei beni appartenenti ai figli minorenni finché questi non compiono 18 anni.
Secondo il principio dell’usufrutto, spettano all’usufruttuario le spese relative alla manutenzione ordinaria e alle imposte, mentre al proprietario che mantiene la nuda proprietà spettano i costi per le eventuali riparazioni straordinarie.
È possibile, soprattutto quando il cedimento dell’usufrutto non è stato fatto in maniera volontaria, che il proprietario si rifiuti di pagare tali spese.
L’usufruttuario non potrà fare granché, se non sostenere tali spese lui stesso per poi pretendere un risarcimento dal nudo proprietario una volta scaduto il diritto di usufrutto. Ciò perché, al termine del diritto, il nudo proprietario riacquisisce la possibilità di godere e usufruire del suo bene.
L’usufruttuario ha il dovere di restituire l’immobile nello stesso stato in cui l’ha trovato, e lo deve conservare con la diligenza del buon padre di famiglia.
Al contrario dell’enfiteusi, al termine dell’usufrutto sarà possibile acquistare il bene per usucapione.
Advertisement - PubblicitàIl diritti reali di uso e abitazione sono molto simili al diritto di usufrutto, ma rispetto a questo danno un potere decisamente limitato.
Con il diritto d’uso, un soggetto possiede il godimento su un bene altrui e, se fruttifero, ha diritto a raccoglierne i frutti. A differenza dell’usufruttuario però, l’usuario potrà beneficiare solo dei frutti naturali e non di quelli civili.
In sostanza, l’usuario potrà utilizzare il bene solo in modo diretto per i bisogni suoi e della sua famiglia. Non potrà però in alcun modo cederlo a terzi o darlo in locazione, perché appunto i “frutti civili” rimangono di diritto al proprietario.
Chi gode invece del diritto di abitazione avrà unicamente la possibilità di abitare all’interno del bene per i bisogni suoi e della sua famiglia, ma non potrà godere dei suoi frutti naturali o civili, e ovviamente non potrà cederlo a terzi.
Sia nel caso di diritto d’uso che nel caso di diritto di abitazione, le spese relative all’immobile spettano a chi usufruisce del bene.
Per tutto il resto non citato, il principio di uso e quello di abitazione seguono le norme specificate per il diritto di usufrutto.
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