In questo articolo andiamo ad affrontare una recente sentenza della Cassazione che ricorda come sia ritenuto divieto assoluto l’edificazione di fabbricati a meno di 4-10 metri dai corsi d’acqua.
Il caso riguarda un ricorso presentato dall’amministrazione di un condominio. Prima della negazione del rilascio di costruire infatti, il condominio aveva ricevuto due consensi giudiziali che gli permettevano di procedere con la realizzazione di un proprio impianto all’interno della fascia di vincolo di un corso d’acqua.
La sentenza definitiva però ha decretato inderogabilmente l’impossibilità a costruire. Vediamo perché.
Sommario
Il condominio in questione aveva presentato autorizzazione idraulica in sanatoria, in quanto parte del fabbricato ricadeva nella fascia di vincolo di un corso d’acqua.
L’amministrazione condominiale, avendo preventivamente ottenuto due pareri giudiziali favorevoli, aveva poi ottenuto una terza sentenza negativa da parte della Commissione Tecnica Regionale. Ha presentato così ricorso presso il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con le seguenti argomentazioni:
Il Tribunale però, ha rigettato il ricorso e decretato illegittime le due opinioni favorevoli precedenti. In quanto le norme statali godono di maggior rilievo rispetto al piano regolatore comunale. E sentenzia quindi che:
“Il divieto di edificazione entro la fascia di servitù idraulica ha carattere assoluto e inderogabile, senza che possa avere alcun rilievo il tempo trascorso dall’abuso o la quantità di acqua effettivamente fluente“.
Advertisement - PubblicitàL’amministrazione comunale prova a quel punto a muovere un ulteriore ricorso, stavolta presso la Corte di Cassazione. Ma anche qui trova un parere negativo, e stavolta, definitivo.
La Cassazione riporta infatti la più datata sentenza, ancora in vigore, in merito alle costruzioni vicine ai corsi dei fiumi, ovvero quella il Regio Decreto n. 368 dell’8 maggio 1904.
Questa vieta in maniera assoluta “le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, e lo smovimento del terreno dal piede interno ed esterno degli argini e loro accessori o dal ciglio delle sponde dei canali non muniti di argini o dalle scarpate delle strade, a distanza minore di metri 2 per le piantagioni, di metri 1 a 2 per le siepi e smovimento del terreno, e di metri 4 a 10 per i fabbricati, secondo l’importanza del corso d’acqua”.
Sulla base di tale normativa, con la recente sentenza n. 7644 del 1 aprile 2020, la Suprema Corte rigetta il ricorso del condominio.
Advertisement - PubblicitàQui però bisogna dire che, nel caso in cui la difesa del condominio in questione fosse stata maggiormente preparata, l’amministrazione probabilmente avrebbe ottenuto l’approvazione del ricorso.
Infatti, per legge, i suddetti divieti non sono considerabili nel caso in cui “risulti oggettivamente non sussistente un corso d’acqua pubblica o verosimile la sua ricostruzione per eventi naturali”.
E, in questo caso, il letto del fiume risultava ormai asciutto da anni, e non era verosimile considerare la sua rinascita. Per cui, se la difesa avesse agito diversamente, il condominio sarebbe stato legittimato a costruire.
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