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Abitabilità, agibilità e conformità: attenzione alle differenze

Il Consiglio di Stato si è trovato recentemente ad affrontare una sentenza in cui si tratta delle differenze esistenti tra i concetti di abitabilità, agibilità e conformità.

Abitabilità, agibilità e conformità: attenzione alle differenzeAbitabilità, agibilità e conformità: attenzione alle differenze
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Il Consiglio di Stato si è trovato recentemente ad affrontare una sentenza in cui si tratta delle differenze esistenti tra i concetti di abitabilità, agibilità e conformità.

Non è raro confondere le tre nozioni e la loro applicabilità, e spesso anche le amministrazioni e i giudici competenti tendono a cadere nel tranello. Ma bisogna fare molta attenzione invece alle differenziazioni che esistono e alle normative che cambiano.

Approfondiamo di seguito.

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Abitabilità, agibilità e conformità: il caso affrontato dal CDS

La sentenza di cui parliamo è la n. 3836 del 17 maggio 2021 del Consiglio di Stato, che ha messo fine al disaccordo tra un Comune italiano ed una società. Quest’ultima richiedeva l’annullamento del provvedimento comunale che dichiarava invalido il certificato di agibilità riferito ad un complesso artigianale.

Secondo la società, si era già formato il meccanismo del silenzio-assenso e dunque il Comune non avrebbe più avuto diritto a rigettare l’istanza. D’altra parte, il Comune riteneva che i dati riportati nei certificati non fossero idonei a rendere valido il silenzio-assenso.

In prima istanza il TAR ha dato ragione alla società, così il Comune ha presentato ricorso presso il Consiglio di Stato.

Ma spieghiamo meglio qual è l’oggetto della discordia tra le due parti. In sostanza, la società avrebbe voluto realizzare una via di accesso che collegava la strada statale al proprio complesso artigianale, motivo per il quale aveva firmato una convenzione di piano di recupero con il Comune per la costruzione.

Tale convenzione è stata fatta per ovviare ad un precedente errore del Comune, che dapprima aveva approvato la costruzione del complesso artigianale solo tramite il rilascio del Permesso di Costruire. In seguito a diverse verifiche che hanno dato avvio ad un procedimento penale, il Comune aveva provveduto a “rimediare all’errore” costituendo un piano di recupero con la convenzione.

Il tutto però si è successivamente complicato, in quanto per accedere al piano di recupero era necessario che la strada fosse realizzata nella sua interezza. La società invece aveva provveduto alla costruzione solo di un tratto di strada, quella che ricadeva all’interno del terreno del complesso.

Il Comune a quel punto, ritenendo la società inadempiente agli obblighi sottoscritti nella convenzione, ha disposto il diniego dell’agibilità del complesso.

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Impossibile ottenere l’agibilità senza la doppia conformità

Nella prima sentenza di fronte al TAR, i giudici hanno ritenuto che tale inadempienza fosse da attribuire al massimo al concetto di conformità urbanistico-edilizia, e che non avesse nulla a che fare invece con la nozione di agibilità del complesso.

Il Consiglio di Stato ha invece smentito tale punto, precisando che il concetto di abitabilità presente in passato nella legislazione italiana non è da intendersi in maniera eguale al concetto di agibilità in vigore attualmente.

Al momento della contesa infatti, l’art. 24 del Testo Unico dell’Edilizia intendeva come agibile un fabbricato che possiede le adeguate “condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti”. In seguito però, con le modifiche apportate al Testo dal D.lgs. 222/2016, si disponeva invece che, per ottenere il rilascio del certificato di agibilità sarebbe stato necessario possedere prima l’attestazione della conformità urbanistico-edilizia.

Dunque solo dopo aver dimostrato che l’opera è conforme e regolare dal punto di vista urbanistico, il proprietario può avviare il processo di richiesta dell’attestazione di agibilità, che deve essere certificata poi dal Comune. Solo dopo aver ottenuto il certificato di agibilità, è possibile considerare legittimo l’utilizzo dell’immobile nella destinazione d’uso definita.

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Silenzio-assenso: l’inadempienza agli obblighi invalida il titolo abilitativo

Arriviamo quindi al concetto di silenzio-assenso e alla sua applicabilità.

Secondo la normativa vigente, ricordano i giudici, se dopo aver richiesto il certificato di agibilità al Comune, questo non fornisce una risposta entro 30 giorni, si applica automaticamente il meccanismo del silenzio-assenso. Come sappiamo però, tale formula può essere valida unicamente se la richiesta è corredata di tutti i documenti e le certificazioni necessarie che dimostrino la totale regolarità dei procedimenti.

Nel caso affrontato in sentenza quindi, ovvero la realizzazione della strada che portasse al complesso artigianale, il meccanismo del silenzio-assenso richiedeva l’adozione e il rispetto del piano di recupero attuativo.

Visto e considerato che la società non aveva ottemperato agli accordi sottoscritti e firmati nella convenzione, non avendo realizzato interamente la strada, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Comune, confermando l’inagibilità del complesso artigianale in possesso della società.

I giudici hanno spiegato infatti che:

La violazione di una convenzione accessiva ad un Piano attuativo urbanistico impatta sulla regolarità dei lavori eseguiti, condizionando la validità del titolo [edilizio]. Essendo la agibilità la summa del possesso dei requisiti sia igienico-sanitari che urbanistico-edilizi di un edificio, essa non può essere conseguita nel caso in cui il titolo edilizio sottostante, seppure esistente, non possa considerarsi efficace, sicché non ne è necessario il preventivo annullamento. La sua avvenuta formalizzazione, da parte del Comune, in assenza dei richiamati requisiti, non sana comunque l’abuso edilizio, con riferimento al quale permangono i poteri sanzionatori attribuiti al Comune”.



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TAGS: abitabilità, agibilità, certificato agibilità, comune, conformità, permesso di costruire, sentenza, silenzio assenso, tar

Autore: Redazione Online

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