Un imprenditore agricolo viene escluso dal contributo PNRR per un errore formale: il TAR Lazio conferma la rigidità delle regole, anche quando l’intento è legittimo.
Nel mondo dell’accesso ai fondi pubblici, soprattutto quelli legati al PNRR, la precisione è tutto. Lo dimostra una recente sentenza del TAR Lazio, che ha respinto il ricorso di un imprenditore agricolo escluso dal bando “Parco Agrisolare” per la realizzazione di un impianto fotovoltaico.
Nonostante l’intento fosse legittimo e la volontà di correggere un errore fosse chiara, le regole procedurali sono state applicate con rigore estremo.
Il caso nasce dalla presentazione di due domande per lo stesso progetto, una delle quali sostitutiva della precedente. Tuttavia, la gestione dell’errore iniziale e la compilazione della seconda domanda hanno generato dubbi, errori formali e una rigidità interpretativa che ha portato all’esclusione del richiedente.
Ma fino a che punto può arrivare la responsabilità del partecipante? È giusto che un errore di tabella annulli ogni possibilità di accesso a fondi pubblici, anche quando ci sono risorse ancora disponibili? E cosa ci insegna questa vicenda sul rapporto tra PA e cittadino nel contesto dei grandi piani di investimento pubblico?
Sommario
Il “Parco Agrisolare” è una delle misure chiave inserite nella Missione 2, Componente 1, Investimento 2.2 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), pensata per incentivare l’installazione di impianti fotovoltaici su edifici a uso produttivo nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale. Il contributo viene erogato in conto capitale e rappresenta un’opportunità concreta per le imprese agricole di migliorare l’efficienza energetica e ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività.
Le domande di accesso al contributo devono rispettare requisiti molto precisi, tra cui la corretta classificazione secondo il codice ATECO prevalente e l’inserimento nella tabella corrispondente (1A o 2A). In particolare:
Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) è l’ente incaricato della valutazione delle istanze. Le sue regole operative prevedono che, in caso di più domande per lo stesso progetto, venga considerata solo l’ultima pervenuta, annullando d’ufficio le precedenti. Ma l’errore nella scelta della tabella o nella compilazione della domanda può essere fatale, poiché la procedura non consente margini di correzione dopo la scadenza.
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Advertisement - PubblicitàNel settembre 2023, un imprenditore agricolo emiliano decide di cogliere l’opportunità offerta dal bando “Parco Agrisolare” per finanziare un impianto fotovoltaico da installare sul tetto del proprio allevamento. Presenta così una prima domanda il 12 settembre, ma pochi giorni dopo – il 16 settembre – inoltra una seconda istanza, questa volta corretta. Il progetto è lo stesso, cambia solo la tabella del bando di riferimento: la prima domanda fa capo alla tabella 1A, la seconda alla 2A.
Il motivo della doppia presentazione? Un errore di compilazione nella prima domanda, che l’imprenditore ha tentato di correggere con un nuovo invio, confidando nella possibilità – prevista espressamente dal regolamento operativo GSE – che venga considerata valida l’ultima proposta inviata, con annullamento automatico della precedente.
Ma le cose non vanno come sperato. Il GSE respinge entrambe le domande, ritenendo che la doppia presentazione configuri una violazione delle regole del bando. Eppure, proprio il paragrafo 6.4 del Regolamento Operativo prevede che, in casi simili, si proceda alla valutazione dell’ultima proposta, annullando automaticamente le precedenti.
Per l’imprenditore, la seconda domanda era non solo corretta, ma anche pienamente ammissibile secondo questa regola.
Da qui parte un iter complesso: prima l’istanza di riesame in autotutela, poi il ricorso al TAR Lazio. In entrambi i casi, il ricorrente sostiene che non ci sia stata alcuna volontà di aggirare le regole, ma solo un tentativo legittimo di correggere un errore formale. La seconda domanda, a suo dire, era l’unica da considerare e doveva essere valutata nel merito.
Tuttavia, anche in sede di autotutela, il GSE mantiene il punto: l’imprenditore non avrebbe potuto accedere ai fondi in quanto il suo codice ATECO (1.47, allevamento pollame) non era compatibile con la tabella 2A scelta nella seconda domanda. E poiché non ha prodotto in tempo la documentazione utile a dimostrare l’attività riconducibile a quella tabella, l’esclusione viene confermata.
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Advertisement - PubblicitàIl TAR Lazio, con la sentenza n. 6874 del 7 aprile 2025, ha analizzato nel dettaglio la vicenda, distinguendo tra gli aspetti formali e sostanziali del procedimento amministrativo.
Il Tribunale ha riconosciuto che il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) non ha applicato correttamente il paragrafo 6.4 del Regolamento Operativo, che stabilisce che, in caso di più proposte relative allo stesso progetto, debba essere valutata solo l’ultima domanda, annullando d’ufficio le precedenti.
In altre parole, la seconda domanda doveva essere considerata valida e la prima automaticamente esclusa, senza penalizzare il richiedente per la doppia presentazione.
Tuttavia, il TAR ha ritenuto che l’errore procedurale del GSE non comporti l’illegittimità del provvedimento di esclusione, poiché il risultato finale – l’esclusione del progetto dai contributi – non avrebbe potuto essere diverso (principio espresso all’art. 21-octies, comma 2, della legge 241/1990). Infatti, anche valutando la seconda domanda, essa risultava comunque inammissibile: il codice ATECO dell’imprenditore (1.47, allevamento pollame) non era compatibile con la tabella 2A indicata nella seconda istanza.
Il TAR ha anche chiarito che il comportamento del GSE, nel confermare l’esclusione tramite provvedimento di autotutela, è da considerarsi una convalida ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 2, della L. 241/90. Tale atto è stato ritenuto legittimo, poiché sorretto da un interesse pubblico chiaro (la corretta gestione delle risorse del PNRR) e adottato entro un termine ragionevole.
Inoltre, il giudice ha respinto anche i motivi aggiunti, tra cui l’asserita violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 (obbligo di comunicazione dei motivi ostativi), affermando che l’amministrazione aveva correttamente avviato il procedimento informando il richiedente della necessità di integrare la documentazione, cosa che però non è avvenuta nei tempi richiesti.
Infine, non è stato ritenuto applicabile il cosiddetto “soccorso istruttorio”, in quanto la procedura era una procedura a sportello e a carattere massivo, dove la parità di trattamento tra i partecipanti prevale su ogni possibilità di correzione postuma, come già affermato dal Consiglio di Stato (n. 5698/2018) e confermato da numerose altre sentenze.