L’edilizia in aree sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici richiede il rispetto di norme rigorose, spesso oggetto di contenziosi tra privati e pubbliche amministrazioni. Un caso emblematico è quello dello stabilimento balneare di Sabaudia, al centro di una disputa legale per interventi edilizi ritenuti abusivi dal Comune.

L’appellante aveva presentato una CILA in sanatoria, ma il Comune l’ha dichiarata improcedibile, ritenendo che gli interventi eseguiti richiedessero una SCIA e i nulla-osta delle autorità competenti. Dopo il rigetto del ricorso al TAR Lazio, il caso è approdato al Consiglio di Stato, che ha confermato la decisione del Comune.

Quando si può usare una CILA e quando invece serve una SCIA? Quali sono le conseguenze di un mancato rispetto dei vincoli edilizi?

Scopriamolo insieme.

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I fatti di causa: dalla CILA alla demolizione

La vicenda ha origine nel 2019, quando il titolare di uno stabilimento balneare a Sabaudia presenta al Comune una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) in sanatoria. L’intervento riguardava la rifunzionalizzazione e la diversa distribuzione degli spazi interni dello stabilimento, con modifiche che, secondo il richiedente, non avrebbero alterato l’organismo edilizio preesistente.

Tuttavia, il Comune di Sabaudia, dopo un sopralluogo, ha respinto la CILA, dichiarandola improcedibile per due motivi principali:

  • Le opere eseguite non erano semplici interventi interni, ma rientravano nella categoria della ristrutturazione edilizia, che richiede una SCIA anziché una CILA.
  • L’area è soggetta a molteplici vincoli ambientali e paesaggistici (Parco Nazionale del Circeo, vincolo idrogeologico, vincolo paesaggistico, vincolo demaniale, ecc.), e per tali interventi sarebbero stati necessari i nulla-osta delle autorità preposte, che invece mancavano.

L’appellante ha quindi impugnato il provvedimento del Comune davanti al TAR Lazio, che nel 2023 ha respinto il ricorso, ritenendo legittima la decisione dell’amministrazione. La causa è poi arrivata al Consiglio di Stato, che nel 2025 ha confermato la sentenza del TAR, ribadendo che le opere non potevano essere sanate con una semplice CILA.

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Il nodo centrale della sentenza: CILA o SCIA?

Uno degli aspetti fondamentali della sentenza n. 1414/2025 del Consiglio di Stato riguarda la corretta qualificazione degli interventi edilizi. L’appellante sosteneva che le opere realizzate nello stabilimento balneare rientrassero nella manutenzione straordinaria e che, di conseguenza, fossero sanabili attraverso una semplice CILA. Tuttavia, il Comune di Sabaudia aveva rigettato questa interpretazione, rilevando che le modifiche apportate non si limitavano alla redistribuzione degli spazi interni, ma comportavano interventi che incidevano sulla sagoma dell’edificio e sulla sua funzionalità.

Il Consiglio di Stato ha confermato la posizione del Comune, evidenziando che le trasformazioni effettuate rientravano nella ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 380/2001, in quanto avevano determinato un organismo edilizio in parte diverso da quello preesistente. Inoltre, la sentenza ribadisce che, trattandosi di un’area soggetta a molteplici vincoli, tra cui quello paesaggistico ex d.lgs. 42/2004 e quello ambientale derivante dall’appartenenza al Parco Nazionale del Circeo, ogni modifica rilevante avrebbe richiesto l’ottenimento di specifici nulla-osta dalle autorità competenti.

La mancanza di tali autorizzazioni ha contribuito a rendere improcedibile la CILA, come già affermato dal TAR Lazio nella sentenza n. 709/2023.

Un altro aspetto chiarito dal Consiglio di Stato riguarda la differenza tra CILA e SCIA. Mentre la prima può essere utilizzata solo per interventi di manutenzione straordinaria che non incidano sulle parti strutturali dell’edificio, la seconda è obbligatoria per interventi di ristrutturazione edilizia. Nel caso specifico, il Consiglio di Stato ha rilevato che la trasformazione degli spazi aveva modificato la distribuzione funzionale dello stabilimento e la conformazione di alcuni ambienti, determinando una variazione dell’assetto edilizio che non poteva essere sanata con una CILA.

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L’appellante avrebbe quindi dovuto presentare una SCIA, accompagnata dai nulla-osta previsti per le zone vincolate.

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato ha confermato la validità del provvedimento comunale che ha dichiarato improcedibile la CILA e ha ribadito che gli interventi effettuati necessitavano di un titolo edilizio più idoneo.