Il TAR di Salerno ha confermato la legittimità di un’ordinanza di demolizione per il cambio non autorizzato di destinazione d’uso di locali accessori trasformati in miniappartamenti, ribadendo l’importanza di rispettare le normative edilizie.
Il rispetto delle regole in edilizia non è solo una questione burocratica, ma un obbligo fondamentale per evitare sanzioni e conflitti legali. Un recente caso affrontato dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania, sezione di Salerno, ha visto una proprietaria contestare un’ordinanza del Comune che imponeva il ripristino dello stato originale di alcuni locali.
Questi spazi, originariamente destinati a cantina e garage, erano stati trasformati in miniappartamenti senza i necessari permessi. La sentenza ha messo in evidenza i limiti entro cui i privati possono intervenire sugli immobili e il ruolo delle amministrazioni nel vigilare sul rispetto delle normative.
Ma quali sono le conseguenze legali di modifiche non autorizzate a un immobile?
Sommario
La vicenda prende avvio con un’ordinanza emessa dal Comune che imponeva alla proprietaria di alcuni locali condominiali il ripristino dello stato originale degli stessi. I locali, originariamente destinati a cantina e garage, erano stati trasformati in miniappartamenti abitativi mediante l’unione di più spazi, l’installazione di impianti idrici ed elettrici, e la realizzazione di ambienti funzionali all’uso residenziale, come bagno e soggiorno.
Questi interventi, secondo il Comune, costituivano un cambiamento rilevante della destinazione d’uso, comportando un aumento della volumetria abitativa e del carico urbanistico, elementi che richiedono obbligatoriamente un permesso di costruire ai sensi del D.P.R. n. 380/01.
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In particolare, l’articolo 33 del Testo Unico dell’Edilizia disciplina la repressione degli abusi edilizi, stabilendo che qualsiasi intervento effettuato in assenza del necessario titolo edilizio debba essere sanzionato con un’ordinanza di ripristino o demolizione. Questo principio è rafforzato da un orientamento consolidato della giurisprudenza, che vede nell’ordinanza di demolizione un atto dovuto e vincolato, finalizzato a tutelare l’interesse pubblico al corretto uso del territorio.
Nel caso specifico, l’amministrazione comunale aveva basato il proprio provvedimento su sopralluoghi e relazioni tecniche che evidenziavano la trasformazione abusiva.
Tuttavia, la proprietaria ha contestato l’ordinanza davanti al TAR, sollevando diversi motivi di ricorso, tra cui l’insufficienza della descrizione del bene e l’assenza di un’istruttoria adeguata da parte dell’amministrazione. La vicenda ha quindi assunto una rilevanza non solo tecnica, ma anche giuridica, ponendo al centro del dibattito il limite tra edilizia libera e interventi soggetti a permesso di costruire.
Advertisement - PubblicitàNel ricorso presentato al TAR, la proprietaria ha sollevato numerose contestazioni contro l’ordinanza del Comune. Il primo punto riguardava l’insufficiente descrizione dei locali e delle opere contestate, ritenuta troppo generica per consentire un’adeguata difesa.
Secondo la ricorrente, l’ordinanza non identificava chiaramente né l’abuso edilizio né il mutamento di destinazione d’uso imputato, rendendo il provvedimento non sufficientemente motivato.
Un altro aspetto cruciale del ricorso era la presunta inadeguatezza dell’istruttoria condotta dal Comune.
La proprietaria sosteneva che le modifiche contestate – come l’accorpamento dei locali e la demolizione di alcuni tramezzi interni – fossero state realizzate in tempi remoti, mentre i successivi interventi avrebbero riguardato esclusivamente lavori di manutenzione straordinaria o di adeguamento, eseguibili senza il permesso di costruire.
Inoltre, affermava che i locali non potevano essere considerati abitativi poiché mancavano allacciamenti definitivi alle utenze e i loro arredi non configuravano una reale vocazione residenziale.
La ricorrente ha inoltre invocato l’applicazione di norme semplificate come la C.I.L.A. (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata), sostenendo che le opere fossero riconducibili ad interventi di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, esenti dall’obbligo di permesso di costruire. In questa linea difensiva, veniva citata anche una concessione in sanatoria rilasciata a un condomino confinante per interventi simili, che secondo la proprietaria avrebbe legittimato le sue azioni.
Tuttavia, il Comune ha contestato la validità di queste argomentazioni, affermando che i lavori realizzati costituivano una vera e propria trasformazione degli spazi, comportando un incremento del carico urbanistico, elemento che rende indispensabile il permesso di costruire.
Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo Regionale ha esaminato nel dettaglio i motivi del ricorso, respingendo le contestazioni sollevate dalla proprietaria e confermando la legittimità dell’ordinanza comunale.
Sul primo punto, il TAR ha ritenuto che l’ordinanza di demolizione fosse sufficientemente motivata. La descrizione del bene e delle opere abusive era chiara, così come il riferimento normativo all’articolo 33 del D.P.R. n. 380/01, che disciplina specificamente gli interventi edilizi eseguiti in assenza o difformità del permesso di costruire.
Un aspetto rilevante della decisione riguarda l’onere della prova. Il TAR ha stabilito che è il privato a dover dimostrare la data di realizzazione dell’opera contestata, soprattutto quando sostiene che i lavori risalgano a un periodo in cui sarebbero stati autorizzabili con procedure semplificate o non necessarie.
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Nel caso in esame, la ricorrente non è riuscita a fornire elementi sufficienti per dimostrare la conformità temporale delle modifiche, e le risultanze tecniche del Comune hanno evidenziato che i locali erano stati trasformati in modo evidente per uso abitativo.
Il TAR ha anche sottolineato che il mutamento di destinazione d’uso – che comporta un aumento del carico urbanistico – non può essere considerato un intervento di manutenzione straordinaria o di edilizia libera. La trasformazione dei locali in miniappartamenti, con l’aggiunta di impianti e divisioni interne per ricavare spazi abitativi, supera il concetto di “lavori minori” e richiede obbligatoriamente un titolo edilizio.
Infine, la concessione in sanatoria ottenuta in passato da un vicino condomino non ha avuto alcun peso nella decisione. Tale autorizzazione, peraltro, era stata successivamente annullata in autotutela, rendendo inapplicabile qualsiasi analogia al caso della ricorrente.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del TAR di Salerno evidenzia quanto sia cruciale rispettare le normative edilizie e urbanistiche, non solo per evitare sanzioni, ma anche per contribuire a un uso ordinato e sostenibile del territorio.
Il caso trattato ha mostrato come modifiche non autorizzate, anche su spazi accessori, possano generare conseguenze legali significative, obbligando i privati al ripristino dello stato dei luoghi e al pagamento delle spese processuali.
Questo verdetto pone un importante interrogativo: quanto i privati sono consapevoli delle implicazioni legali delle loro scelte edilizie? La speranza è che vicende come questa incentivino un maggiore rispetto delle regole per il bene comune.