Negli ultimi anni, la CILA Superbonus è diventata uno degli strumenti più utilizzati per accedere ai vantaggi fiscali legati alla riqualificazione edilizia. La sua funzione è quella di semplificare l’avvio dei lavori, permettendo ai cittadini – tramite l’asseverazione di un tecnico abilitato – di procedere senza attendere un’autorizzazione formale da parte del Comune.

Tuttavia, non sono mancate interpretazioni restrittive da parte di alcune amministrazioni locali, che hanno dichiarato “inefficaci” le CILA presentate, a distanza anche di mesi o anni, bloccando i cantieri e mettendo a rischio l’accesso al Superbonus.

È proprio ciò che è accaduto in un caso recente, portato fino al Consiglio di Stato, che ha segnato una svolta importante per cittadini, tecnici e Comuni. La pronuncia, pubblicata a febbraio 2025, chiarisce limiti, doveri e diritti in gioco quando si parla di CILA, controllo amministrativo e Superbonus.

Ma cosa ha deciso davvero il Consiglio di Stato? Il Comune può dichiarare inefficace una CILA a distanza di anni? E il cittadino ha strumenti per difendersi?

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Il caso concreto: torre del greco contro i privati

Il cuore della vicenda ruota attorno a una CILA Superbonus presentata nel dicembre 2021, finalizzata all’esecuzione di lavori di efficientamento energetico e ristrutturazione agevolati dal noto Superbonus 110%, previsto dal decreto legge n. 34/2020 (il cosiddetto “Decreto Rilancio”).

Dopo oltre due anni, nel marzo 2024, il Comune ha notificato ai cittadini interessati una comunicazione di inefficacia della CILA, sostenendo che l’intervento edilizio non fosse legittimamente assentibile con quella tipologia di titolo e segnalando alcune presunte difformità tra lo stato dei luoghi e la documentazione depositata.

Una decisione che ha avuto un impatto devastante per i ricorrenti: non solo i lavori sono stati immediatamente bloccati, ma si è anche creata una situazione paradossale. L’effetto della dichiarazione d’inefficacia ha precluso sia la prosecuzione dei lavori, sia la possibilità di ripresentare una nuova CILA, poiché nel frattempo era scaduto il termine normativo per poter accedere al Superbonus (17 febbraio 2023). Il rischio concreto? Perdere interamente i benefici fiscali legati agli interventi già programmati o in corso.

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A questo punto, i cittadini hanno deciso di impugnare l’atto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, evidenziando una serie di violazioni sostanziali:

  • il superamento dei termini temporali per eventuali controlli (30 giorni dalla presentazione, secondo l’art. 19 della legge 241/1990);
  • la mancata attivazione del soccorso istruttorio, che avrebbe potuto consentire la produzione di documenti integrativi;
  • l’effetto lesivo prodotto dall’atto, che – contrariamente a quanto sostenuto dal Comune – avrebbe inciso concretamente sulla sfera giuridica dei privati, privandoli della possibilità di usufruire del Superbonus.

Il TAR, tuttavia, ha respinto il ricorso, aprendo così la strada al successivo appello al Consiglio di Stato.

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La posizione del TAR: niente da fare, la CILA non è un vero atto

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania ha respinto il ricorso dei cittadini ritenendolo inammissibile, basandosi su un orientamento giurisprudenziale piuttosto rigido. Secondo questa impostazione, la dichiarazione di inefficacia di una CILA non sarebbe un vero e proprio provvedimento amministrativo, ma un atto meramente informativo, privo di effetti giuridici diretti e quindi non impugnabile.

In altre parole, per il TAR, la comunicazione del Comune non sarebbe che un semplice “avviso interno”, una sorta di presa d’atto tecnica, senza valore inibitorio o esecutivo. Di conseguenza, non avrebbe inciso concretamente sulla sfera giuridica dei cittadini, i quali – sempre secondo questa visione – avrebbero potuto proseguire i lavori oppure presentare un nuovo titolo edilizio.

Un ragionamento che però non ha tenuto conto della realtà normativa e temporale: la CILA in questione era stata presentata entro i termini previsti per accedere al Superbonus, mentre una nuova presentazione non sarebbe stata più possibile.

Questa interpretazione ha generato, nei fatti, una situazione contraddittoria e penalizzante per i privati: da un lato, un Comune che dichiara inefficace la CILA, bloccando i lavori; dall’altro, un giudice che afferma che quell’atto non ha effetti concreti, escludendo la possibilità di fare ricorso.

Un cortocircuito giuridico che ha reso impraticabile qualsiasi forma di tutela, lasciando i cittadini in un limbo burocratico e finanziario. Da qui la scelta di ricorrere in appello al Consiglio di Stato, che ha dato tutt’altra lettura alla vicenda.

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La svolta del Consiglio di Stato: la dichiarazione di inefficacia è impugnabile

Con la sentenza n. 1651 del 2025, il Consiglio di Stato ribalta completamente l’impostazione del TAR e segna un importante cambio di rotta: la dichiarazione di inefficacia di una CILA è un atto lesivo e, in quanto tale, impugnabile. Secondo i giudici di Palazzo Spada, l’amministrazione comunale, nel momento in cui esprime un giudizio formale sulla validità della CILA, esercita comunque un potere autoritativo che incide sulla sfera giuridica del cittadino.

Il Collegio sottolinea che, anche se la CILA rientra nel novero degli strumenti di semplificazione amministrativa – e non è sottoposta a un controllo preventivo rigido come accade per la SCIA o per il permesso di costruire – ciò non significa che l’amministrazione possa agire senza limiti o senza contraddittorio. Quando il Comune dichiara una CILA “inefficace”, soprattutto dopo molto tempo dalla presentazione, produce effetti reali: blocca i lavori, interrompe il percorso per ottenere gli incentivi fiscali, e in alcuni casi – come in questo – impedisce la possibilità di ripresentare l’istanza, causando danni economici concreti.

Per il Consiglio di Stato, negare la natura provvedimentale dell’atto significa svuotare di senso i diritti di difesa del cittadino, lasciandolo privo di strumenti per contestare una decisione potenzialmente arbitraria della Pubblica Amministrazione. Inoltre, afferma che non può essere attribuito un potere illimitato e privo di regole all’ente locale, in contrasto con i principi di trasparenza, proporzionalità e legalità sanciti dalla legge 241/1990.

In particolare, i giudici mettono in evidenza come la vicenda sia aggravata dal fatto che la CILA fosse finalizzata all’ottenimento del Superbonus, con termini rigidi e non più prorogabili. In questo contesto, l’intervento del Comune – anche se formalmente definito come “comunicazione” – ha avuto un impatto determinante sulla possibilità di accesso a un beneficio fiscale di rilevanza nazionale, e proprio per questo motivo deve essere considerato impugnabile.