L’Istat presenta il suo Rapporto annuale, rivelando un’Italia resiliente, che emerge da una serie di sfide senza precedenti. Dal choc pandemico alla crisi energetica, la Nazione dimostra una forza sorprendente, manifestata attraverso un aumento del Pil del 3,7% nel 2022, superiore a quello di Francia e Germania.
Nonostante nuove criticità emerse durante l’anno, i segnali di recupero dell’attività produttiva e il ritorno al saldo commerciale attivo lasciano intravedere uno scenario positivo.
Sommario
Il rialzo dei prezzi dell’energia e delle materie prime, accentuato dal conflitto in Ucraina, ha segnato l’economia nel corso dell’anno. I costi di produzione per le imprese e i prezzi al consumo per le famiglie hanno registrato significativi aumenti.
Leggi anche: Rincaro materie prime pone un freno all’edilizia: cantieri e superbonus in pericolo
Tuttavia, nonostante la fase critica della crisi energetica, vi sono aspetti incoraggianti. La tendenza al recupero dell’attività produttiva continua, e a fine 2022, il saldo commerciale torna positivo.
Le prospettive economiche si stanno lentamente risollevando in seguito al duro impatto della pandemia di COVID-19. Nonostante ciò, persistono incertezze dovute all’evoluzione della situazione sanitaria, alla volatilità dei mercati finanziari globali e alle tensioni geopolitiche. Inoltre, la crescente pressione inflazionistica è una sfida rilevante, che potrebbe costringere le banche centrali a rivedere le loro politiche monetarie.
In Italia, si osserva un trend di lenta ripresa, con un incremento del PIL atteso per il prossimo anno. Tuttavia, la situazione resta fragile, in particolare per le piccole e medie imprese e per alcuni settori come il turismo e l’ospitalità, ancora fortemente colpiti dalle restrizioni legate alla pandemia.
Advertisement - PubblicitàL’Italia deve compiere passi avanti significativi su alcuni fronti, e tra questi, un nodo critico è rappresentato dalla vulnerabilità dei giovani. Uno dei problemi più critici che attanaglia il nostro Paese riguarda proprio la situazione di vulnerabilità dei giovani, in particolare, il fenomeno dei NEET, acronimo inglese che sta per “Not in Education, Employment, or Training“, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione.
Il 2022 ha registrato un dato allarmante: quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione, e circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, rientra nella categoria dei NEET. Questa percentuale, che si attesta al 20%, è superiore di oltre 7 punti alla media UE, trovando un confronto solo con la situazione della Romania.
L’analisi della questione NEET mostra ulteriori disparità. Il fenomeno tocca in misura maggiore le ragazze (20,5%) e i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%), oltre che la popolazione straniera (28,8%). Inoltre, l’incidenza dei NEET tende a diminuire all’aumentare del livello di istruzione: è del 20% tra i giovani diplomati o con al più la licenza media, mentre scende al 14% tra i laureati.
La situazione dei NEET è strettamente correlata al tasso di disoccupazione giovanile, che risulta essere elevato (18%), quasi 7 punti superiore alla media europea. Questo dato è aggravato dal fatto che una quota di giovani in cerca di lavoro da almeno 12 mesi è tripla (8,8%) rispetto alla media europea (2,8%). In particolare, circa un terzo dei NEET (559 mila) è disoccupato, e nella metà dei casi da almeno 12 mesi. Mentre quasi il 38% dei NEET non cerca lavoro né è disponibile a lavorare immediatamente.
La condizione dei NEET è anche caratterizzata da una forte componente di emarginazione sociale. Infatti, oltre tre quarti dei NEET vivono da figli ancora nella famiglia di origine e solo un terzo ha avuto precedenti esperienze lavorative. Il fenomeno dei NEET richiede dunque un intervento complesso e multidimensionale, che consideri non solo l’aspetto lavorativo ma anche quello sociale e formativo.
Come visto questo fenomeno è più evidente tra le ragazze, i residenti nel Mezzogiorno e gli stranieri.
Advertisement - PubblicitàIl Rapporto Istat 2023 ha rilevato che possedere un titolo di studio superiore può influenzare significativamente le prospettive occupazionali e il reddito, soprattutto nelle regioni meridionali dell’Italia e per le donne. Nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 64 anni, coloro che hanno conseguito una laurea presentano un tasso di occupazione più elevato di 30 punti rispetto a coloro che hanno conseguito al massimo la licenza media.
Tale divario si amplia fino a 35 punti nel Mezzogiorno, 44 punti tra le donne, e raggiunge quasi 50 punti tra le donne residenti nel Mezzogiorno.
Riguardo ai salari, gli italiani ricevono annualmente in media 3.700 euro meno rispetto ai loro colleghi europei, e oltre 8.000 euro meno rispetto ai lavoratori tedeschi. La retribuzione lorda annuale per dipendente in Italia è di circa 27 mila euro, inferiore del 12% alla media dell’Unione Europea e del 23% rispetto alla Germania, considerando il potere d’acquisto nel 2021.
Il Rapporto Istat evidenzia che, dal 2013 al 2022, l’incremento totale delle retribuzioni lorde annuali per dipendente in Italia è stato del 12%, circa la metà rispetto alla media europea. Il potere d’acquisto del salario, durante lo stesso periodo, è diminuito del 2%, a fronte di un aumento del 2,5% nei paesi europei.
Advertisement - PubblicitàIn parallelo, l’Italia continua a vivere un processo di invecchiamento della popolazione, con un’età media che è salita da 45,7 a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. L’alto numero di decessi di questi ultimi tre anni non ha arrestato l’aumento dell’età media. Il 2022 ha registrato un record nel minimo di nascite e nel numero di decessi, con le iscrizioni anagrafiche dall’estero che ammontano a 361 mila, influenzate dai movimenti migratori dovuti alla guerra in Ucraina.
Il Rapporto Istat 2023 sottolinea l’importanza del titolo di studio nel determinare le opportunità di occupazione e reddito. Rispetto a chi ha al massimo la licenza media, il tasso di occupazione dei laureati è superiore del 30%. Questa differenza è ancora più marcata nel Mezzogiorno e tra le donne.
Tuttavia, i lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi.
Advertisement - PubblicitàL’anno 2023 si prospetta quindi come un anno di sfide, ma anche di opportunità per l’Italia. Secondo le previsioni dell’Istat, la popolazione in età da lavoro nel 2041 si ridurrà di oltre il 12%, con una possibile perdita di 3,6 milioni di occupati. Tuttavia, questo non va interpretato come un “destino ineluttabile”.
Infatti, l’aumento dei tassi di occupazione, soprattutto per i giovani e le donne, potrebbe compensare la perdita prevista nel numero di occupati e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi.
Compila il form sottostante: la tua richiesta verrà moderata e successivamente inoltrata alle migliori Aziende del settore, GRATUITAMENTE!