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Bonus 200 euro, reddito di cittadinanza, PNRR e Superbonus: tutte le riforme bloccate dopo le dimissioni di Draghi

Lo scorso 21 luglio Mario Draghi ha incontrato al Colle il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per comunicargli le sue dimissioni. In questa guida approfondiremo quali riforme hanno elevate probabilità di restare bloccate a causa della caduta del governo Draghi.

Bonus 200 euro, reddito di cittadinanza, PNRR e Superbonus: tutte le riforme bloccate dopo le dimissioni di DraghiBonus 200 euro, reddito di cittadinanza, PNRR e Superbonus: tutte le riforme bloccate dopo le dimissioni di Draghi
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Lo scorso 21 luglio, dopo una settimana di convulse consultazioni tra i leader politici dei partiti rappresentati in Parlamento, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi ha incontrato al Colle il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per comunicargli le sue dimissioni.

La decisione è scaturita dalla presa d’atto, da parte del Premier uscente, del venir meno della larga coalizione politica che aveva sostenuto l’esecutivo sin dalla sua nascita, a febbraio 2021.

A seguito dell’immediato scioglimento delle Camere, lo stesso 21 luglio Palazzo Chigi ha reso noto, tramite un comunicato stampa, che il prossimo 25 settembre si terranno le elezioni politiche per la scelta dei nuovi rappresentanti del popolo italiano, ossia per nominare i Senatori e i Deputati che avranno il compito di formare il prossimo Governo. Sino ad allora, l’attuale esecutivo resterà in carica e continuerà a lavorare, dal momento che si prospetta un estate bollente non solo dal punto di vista climatico ma anche da quello politico.

Sono infatti ancora tanti – e importanti – i dossier sul tavolo del Governo uscente; per il bene dell’Italia sarebbe necessario che i partiti mettessero da parte le divisioni e lavorassero congiuntamente per portare a termine entro l’estate alcune riforme fondamentali. Certamente Draghi rimane, anche dopo le sue dimissioni, una figura altamente carismatica e di altissimo profilo a livello sia nazionale sia internazionale, ma non è detto che questo basti per evitare che taluni provvedimenti rimangano impantanati nella bagarre pre-elettorale.

Tra i settori che rischiano di essere colpiti più duramente da questa battuta di arresto dell’attività legislativa ci sono quello del welfare e quello degli investimenti strategici per il rilancio del Paese.

In questa guida approfondiremo quali riforme hanno elevate probabilità di restare bloccate a causa della caduta del governo Draghi.

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A rischio il Bonus 200 euro, aiuti a famiglie a lavoratori

Con il cosiddetto Decreto Aiuti (decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50) il governo Draghi ha introdotto un’indennità una tantum di 200 € rivolta a lavoratori dipendenti, pensionati, percettori del reddito di cittadinanza, percettori di assegni di disoccupazione o di invalidità. Sebbene la normativa preveda il rispetto di alcuni requisiti reddituali, l’INPS stima che le persone coinvolte dal provvedimento siano ben 31,5 milioni.

Obiettivo del bonus è quello di ridurre la pressione sulle famiglie provocata dall’inflazione e dai rincari dei costi energetici e delle materie prime, in un contesto in cui – purtroppo – gli aumenti stipendiali sono fermi al palo da anni.

L’indennità è già stata erogata ad inizio luglio a tutti i pensionati aventi i requisiti; i lavoratori dipendenti dovrebbero trovarla in busta paga nelle prossime settimane, e si prevede che i percettori di Reddito di Cittadinanza la ricevano entro metà Agosto. Parrebbe dunque che la prima tranche di aiuti alle famiglie sia salva, nonostante la caduta dell’esecutivo.

Potrebbe invece non essere confermata la proroga del bonus, ventilata da varie fonti nelle ultime settimane.

Con il Decreto Aiuti bis, infatti, il Governo pareva intenzionato a prorogare il bonus da 200 € almeno per il mese di agosto (anche se alcune fonti ipotizzavano un’estensione fino a fine 2022) e a tagliare l’IVA sui beni più consumati dalle famiglie italiane.

Il decreto, sebbene ridimensionato (la versione iniziale aveva una dotazione finanziaria di circa 25 miliardi di euro, ora scesi a 10) verrà presentato alle Camere in queste settimane ed è auspicabile che riceva l’ok di deputati e senatori. Tuttavia, c’è un rischio concreto che alcune misure cadano sotto il fuoco incrociato dei partiti, ormai già impegnati in una feroce campagna elettorale.

Lo scenario più probabile è che le forze politiche trovino un accordo sulla proroga del bonus da 200 € per il mese di agosto ma non sul taglio dell’IVA.

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Reddito di Cittadinanza: nuove regole o abolizione?

Il Reddito di Cittadinanza è stato introdotto con il Decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 ad opera del governo Conte 1. Fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle, il provvedimento è sempre stato fortemente divisivo, sia tra le forze politiche sia tra i cittadini.

Ad essere contestati, soprattutto, sono gli importi degli assegni erogati, effettivamente piuttosto elevati se confrontati con il reddito medio di un lavoratore full-time. Nei primi 3 anni, questa misura è costata più di 20 miliardi di euro, ma le ricadute positive sono state scarse. Sin da subito sono scattati controlli e indagini che hanno permesso di identificare decine di migliaia di percettori che ricevevano il sussidio pur in assenza dei requisiti.

D’altro canto, i dati ISTAT sui senza dimora indicano che la misura, a causa dei requisiti relativi alla residenza, non riesce a raggiungere alcune fette della popolazione che vivono in condizione di indigenza assoluta, come gli oltre 50.000 senzatetto presenti sul territorio italiano. I dati sulle politiche attive resi noti da ANPAL sono ancora più scoraggianti: a fine 2021, su quasi 2 milioni di percettori del Reddito di Cittadinanza, solo 550mila avevano trovato lavoro, quasi sempre con contratti a termine.

Alla luce di tutto questo, il governo Draghi stava iniziando a lavorare su alcuni correttivi alla misura, per renderla più sostenibile dal punto di vista economico e più efficace nel reinserimento lavorativo dei beneficiari. Nel Decreto Aiuto il governo aveva già previsto una limatura al numero di offerte di lavoro rifiutabili, sancendo il decadimento dal beneficio in caso di risposta negativa alla chiamata diretta da parte di un datore di lavoro; l’abolizione totale del sussidio sembrava tuttavia poco probabile.

Con il ritorno alle urne di settembre, però, il quadro potrebbe cambiare: numerose forze politiche, soprattutto di Centro-Destra, non hanno mai nascosto la loro contrarietà alla misura. Il destino del Reddito di Cittadinanza sembra quindi legato alla composizione del prossimo governo e non si può escludere che venga pesantemente ridimensionato o addirittura cancellato.

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Superbonus 110%: che fine farà?

Incerto anche il destino del Superbonus 110% per il recupero edilizio e l’efficientamento energetico, altro cavallo di battaglia dei 5 Stelle istituzionalizzato con il Decreto Rilancio (decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34). Il nodo più spinoso, in materia, riguarda la cessione del credito, che – utilizzando le parole del premier uscente – era stato normato “senza discrimine o discernimento”.

Nei piani del Governo c’era infatti una rivisitazione dell’intero meccanismo di cessione, in parte già delineato nel Decreto Aiuti di maggio 2022.

Le misure messe in atto appaiono comunque non sufficienti a sbloccare la situazione drammatica in cui versano numerose imprese edili, che da mesi attendono l’erogazione del credito a cui hanno diritto.

Per risolvere la situazione, da più parti viene richiesta una riforma organica e profonda dell’intera normativa in materia di bonus fiscali e cessione del credito: uno scenario altamente improbabile in un Parlamento percorso da profonde divisioni e con attività limitata alla sola ordinaria amministrazione.

Da più parti erano inoltre state avanzate delle critiche all’intero sistema di detrazione al 110%; la misura viene infatti considerata corresponsabile dell’impennata dei prezzi delle materie prime. È difficile al momento prevedere quale sarà destino del superbonus con un nuovo Governo, ma è auspicabile che le misure previste dalla normativa rimangano in piedi sino alla loro naturale scadenza.

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PNRR: il nodo più importante

A differenza delle riforme di cui si è detto in precedenza, quelle legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza hanno minori ricadute dirette sulla cittadinanza e possono apparire di secondaria importanza. In realtà, non è affatto così.

L’Italia, sotto la guida di Mario Draghi, ha già ottenuto ad Aprile 2022 una prima parte dei fondi europei per la realizzazione delle opere connesse al PNRR, per un importo di circa 21 miliardi di euro. Altre due tranche, per un importo complessivo di 42 miliardi, sono state assegnate al nostro Paese, a condizione di raggiungere gli obiettivi dettati dall’agenda europea entro deadline molto stringenti.

Non occorre essere economisti per comprendere la rilevanza di una simile cifra per il rilancio e la modernizzazione dell’Italia. Eppure, l’attuale crisi di governo mette in serio pericolo l’accesso alle ultime due rate di incentivi.

Nel primo semestre 2022 il Governo Draghi ha già avviato numerose riforme (tra cui quelle per il reclutamento degli insegnanti, per l’ammodernamento della Pubblica Amministrazione, per la Transizione ecologica e per gli appalti pubblici), ma per renderle pienamente operative occorrono decine di decreti attuativi. Molte altre riforme necessarie per sbloccare i fondi europei (tra cui quella sulla Concorrenza) necessitano di essere approvate e rese operative.

Si tratta di un lavoro legislativo enorme, complesso in periodo di stabilità politica e pressoché impossibile in tempi di campagna elettorale.

Il nuovo governo che uscirà dalle urne il 25 settembre potrebbe richiedere settimane prima di diventare operativo, e a quel punto la scadenza del 31 Dicembre, vincolante per il raggiungimento di ben 55 obiettivi del PNRR, potrebbe essere ormai incombente. L’unica speranza per gli italiani è che le forze politiche, almeno per questa partita, sappiano anteporre il bene della nazione agli interessi di partito.

Con la caduta del governo, la seconda metà del 2022 si presenta quindi densa di insidie per l’Italia. Oltre alle riforme di cui si è parlato, ci sono tanti altri discorsi aperti: tra queste, il DDL concorrenza, il salario minimo, la riforma delle pensioni, la riforma del fisco con il taglio del cuneo fiscale e l’alleggerimento dell’IRPEF per i redditi medio-bassi, l’attuazione delle norme per il reclutamento degli insegnanti.

Entro l’autunno, inoltre, occorre approvare la nota di aggiornamento del DEF e imbastire la Legge di Bilancio per il 2023, per scongiurare lo spettro dell’esercizio provvisorio.

Si tratta di sfide vitali per il Paese, per la cui realizzazione occorre un lavoro unitario e ponderato. Le prospettive non sono rosee, dato che tutti i partiti stanno ormai concentrando le loro energie sulla campagna elettorale per le prossime elezioni politiche di settembre; tutto ciò che gli italiani possono fare è sperare che le forze politiche sappiano dimostrare, nei prossimi mesi, tutta la maturità che non mostrato in queste complesse settimane.



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TAGS: bonus 220 euro, DDL concorrenza, Mario Draghi, pensioni, reddito di cittadinanza, salario minimo, Superbonus

Autore: Redazione Online

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