Nel contesto delle agevolazioni fiscali come il Superbonus, la configurazione del reato di truffa ai danni dello Stato assume una rilevanza critica. Solo quando i crediti d’imposta inesistenti sono stati materialmente riscossi o compensati, si concretizza il danno economico necessario per qualificare il reato.
Ma cosa succede se questi crediti restano solo virtuali? E quali sono le implicazioni per il sequestro preventivo e la confisca per equivalente?
Esploriamo le recenti decisioni della Corte di Cassazione su questi temi, fornendo una panoramica sulle normative e le implicazioni pratiche.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23402 dell’11 giugno 2024, ha affrontato una questione cruciale riguardante i crediti d’imposta generati tramite il Superbonus e la configurazione del reato di truffa ai danni dello Stato.
Il caso specifico vedeva coinvolto un tecnico asseveratore accusato di aver rilasciato false attestazioni sul completamento dei lavori appaltati, che avevano portato alla creazione di crediti d’imposta inesistenti.
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L’ordinanza impugnata aveva disposto due tipi di sequestro preventivo. Il primo riguardava una somma di 29mila euro, corrispondente alla parcella percepita per le false attestazioni che certificavano il regolare compimento delle opere appaltate.
Il secondo tipo di sequestro preventivo, invece, era a fini di confisca per equivalente e ammontava a 546mila euro, equivalenti al profitto del reato. Questo profitto era calcolato sui proventi ottenuti dalla società appaltatrice attraverso la cessione a terzi dei crediti d’imposta fittizi, il cui valore nominale era di quasi 686mila euro.
La difesa ha contestato l’ordinanza, sostenendo che il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis cod. pen.) non poteva considerarsi consumato con il semplice riconoscimento del credito d’imposta da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Secondo la difesa, per configurare il reato era necessario un danno patrimoniale concreto, ovvero la riscossione o la compensazione del credito.
La Corte ha condiviso questa interpretazione, chiarendo che il reato di truffa si perfeziona solo quando vi è una perdita economica effettiva per lo Stato.
La sentenza ha inoltre ribadito un principio giuridico fondamentale: il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente è legittimo solo in presenza di un delitto consumato. Nel caso esaminato, poiché i crediti d’imposta erano stati solo creati e non riscossi o compensati, il reato poteva essere al massimo configurato come tentativo di truffa.
La Corte ha sottolineato che il riconoscimento del credito d’imposta e il suo ingresso nel cassetto fiscale del contribuente non sono sufficienti per configurare il reato di truffa aggravata, in quanto non comportano un danno patrimoniale immediato e concreto per lo Stato.
Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza e rinviato il caso per un nuovo esame, incaricando il Tribunale di verificare l’effettiva entità dei proventi derivanti dalle cessioni dei crediti d’imposta fittizi e se tali crediti siano stati riscossi o utilizzati in compensazione. Solo tali proventi possono essere qualificati come profitto del reato di truffa aggravata ai sensi dell’articolo 640-bis del codice penale, giustificando così la misura cautelare del sequestro preventivo per equivalente.
Questa sentenza rappresenta un importante precedente giurisprudenziale, rafforzando il principio secondo cui, per la consumazione del reato di truffa, è necessaria la concreta realizzazione di un danno economico ai danni dello Stato. Pertanto, nella gestione dei crediti d’imposta e delle agevolazioni fiscali, è essenziale assicurarsi che eventuali misure cautelari siano applicate solo in presenza di effettivi pregiudizi patrimoniali.
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