Una sentenza del TAR Lazio conferma la revoca di incentivi TEE a due imprese, evidenziando l’importanza della coerenza progettuale e dell’addizionalità nel sistema dei certificati bianchi.
Negli ultimi anni, il meccanismo dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE), noti anche come certificati bianchi, è stato uno degli strumenti chiave per promuovere il risparmio energetico nel settore industriale. Attraverso questo sistema, lo Stato incentiva economicamente quegli operatori che realizzano interventi capaci di ridurre i consumi di energia primaria.
Ma cosa accade quando gli interventi realizzati non corrispondono esattamente a quanto dichiarato nei progetti approvati? O se, a distanza di anni, l’ente di controllo verifica che i risparmi conseguiti non superano quelli che sarebbero stati comunque ottenuti grazie al normale progresso tecnologico?
È proprio su questi interrogativi che si è concentrata una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
Il caso ha riguardato due società operanti nel settore della fusione dell’alluminio e della consulenza energetica, alle quali è stato revocato il diritto agli incentivi da parte del GSE (Gestore dei Servizi Energetici). Le aziende hanno impugnato il provvedimento sostenendo la correttezza dei loro interventi e la legittimità dei titoli ottenuti, ma il TAR ha dato ragione al GSE.
Questa vicenda rappresenta un precedente importante: può un’incongruenza tecnica o una valutazione successiva annullare del tutto gli incentivi? Fino a che punto vale il principio del legittimo affidamento? E come devono comportarsi le aziende per tutelarsi?
Sommario
Il sistema dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE), istituito con il Decreto Legislativo n. 79 del 1999 e poi perfezionato da successivi decreti, rappresenta una delle principali leve di politica energetica per incentivare interventi di efficienza energetica. Le aziende che realizzano progetti in grado di ridurre i consumi energetici rispetto a uno scenario di riferimento – detto “baseline” – possono accedere a incentivi sotto forma di TEE, che hanno un valore economico e possono essere negoziati sul mercato.
Per accedere agli incentivi, le imprese devono presentare una Proposta di Progetto e Programma di Misura (PPPM), descrivendo in dettaglio le tecnologie impiegate, i risparmi attesi e la metodologia di calcolo. Dopo l’approvazione della PPPM da parte del GSE, è necessario presentare una o più Richieste di Verifica e Certificazione (RVC), con le quali si attesta l’effettivo risparmio conseguito.
Uno degli elementi chiave per ottenere i TEE è la cosiddetta “addizionalità” dell’intervento: in altre parole, i risparmi devono essere superiori a quelli che si sarebbero ottenuti comunque con l’adozione di tecnologie normalmente presenti sul mercato. Se il risparmio è semplicemente il frutto dell’evoluzione tecnologica ordinaria, l’intervento non viene considerato meritevole di incentivo.
È proprio su questo punto, insieme alla coerenza tra progetto approvato e intervento eseguito, che si è giocata la controversia giudiziaria tra le due aziende ricorrenti e il GSE.
La sentenza del TAR Lazio chiarisce fino a che punto il GSE possa spingersi nella verifica e nella successiva revoca degli incentivi.
Advertisement - PubblicitàLe due società protagoniste del ricorso amministrativo avevano presentato al GSE due distinti progetti di efficientamento energetico, relativi all’ammodernamento di impianti per la fusione dell’alluminio in uno stabilimento industriale. Si trattava, in particolare, di interventi su due forni fusori: il primo riguardava l’installazione di nuovi bruciatori e componenti ausiliari, il secondo la sostituzione di un forno con uno nuovo a maggiore efficienza.
In entrambi i casi, le aziende avevano ottenuto l’approvazione delle rispettive Proposte di Progetto e Programma di Misura (PPPM) e, successivamente, avevano ricevuto i Titoli di Efficienza Energetica in base alle Richieste di Verifica e Certificazione a Consuntivo (RVC-C) trasmesse al GSE.
Tuttavia, anni dopo, il GSE ha avviato un procedimento di verifica, previsto dal Decreto Ministeriale 11 gennaio 2017, articolo 12. A seguito di controlli documentali e tecnici, l’ente ha rilevato una serie di difformità tra quanto previsto nei progetti approvati e quanto effettivamente realizzato. In particolare, è stata contestata l’assenza di alcuni elementi tecnici dichiarati, come la rampa gas dedicata, l’inverter con relativo quadro e un bruciatore ad alta efficienza.
Non solo. Il GSE ha anche messo in dubbio il requisito dell’“addizionalità” dei risparmi, sostenendo che gli interventi non comportavano un miglioramento energetico aggiuntivo rispetto a quanto già ottenibile con soluzioni standard di mercato.
Di conseguenza, sono stati adottati due provvedimenti: uno ha revocato gli incentivi già concessi per il primo progetto, l’altro ha ordinato il recupero di 2.933 TEE che si ritenevano erogati in eccesso per il secondo intervento. Le aziende, ritenendo tali decisioni immotivate e tecnicamente infondate, hanno presentato ricorso davanti al TAR.
Advertisement - PubblicitàSecondo il Tribunale Amministrativo del Lazio, con la sentenza n. 6974/2025, i provvedimenti adottati dal GSE erano legittimi e ben motivati. Le verifiche svolte dall’ente hanno infatti evidenziato, secondo i giudici, una reale discrepanza tra quanto era stato approvato nelle proposte progettuali e ciò che è stato effettivamente installato e realizzato.
Le modifiche ai forni, per quanto tecnicamente valide, non corrispondevano a quelle che avevano originato la concessione degli incentivi.
Un punto chiave della sentenza riguarda l’assenza di “addizionalità”, ovvero quel valore aggiunto in termini di risparmio energetico che va oltre il semplice aggiornamento tecnologico. Per il TAR, il GSE ha dimostrato che gli interventi potevano essere ricondotti a una normale evoluzione impiantistica e non a una reale innovazione.
Di conseguenza, i progetti non erano incentivabili, perché non superavano la soglia minima di miglioramento energetico richiesta dal sistema dei certificati bianchi.
Un ulteriore argomento usato dalle aziende era il principio del legittimo affidamento, cioè l’idea che, una volta approvato un progetto e concessi i titoli, l’amministrazione non potesse più revocarli se non in casi eccezionali. Tuttavia, il TAR ha chiarito che il GSE ha un potere di controllo permanente, e che l’approvazione iniziale di un progetto non preclude future verifiche più approfondite, soprattutto se emergono elementi che mettono in dubbio la corrispondenza tra progetto e realizzazione.
La sentenza ha anche escluso che si trattasse di un atto di autotutela (che avrebbe richiesto tempi e modalità procedurali diverse), ribadendo che si era in presenza di un controllo tecnico vincolato, previsto dalla normativa di settore.