L’acquisto della prima casa in comunione legale richiede il coinvolgimento di entrambi i coniugi per accedere alle agevolazioni fiscali, come confermato dalla Corte di cassazione.
L’acquisto della prima casa rappresenta un momento significativo per le coppie sposate, specialmente quando si desidera usufruire delle agevolazioni fiscali previste. Tuttavia, la legge impone specifici requisiti per beneficiare di tali agevolazioni, requisiti che risultano essenziali anche quando i coniugi sono in regime di comunione legale dei beni.
Secondo una recente ordinanza della Corte di cassazione (n. 26703 del 14 ottobre 2024), entrambi i coniugi devono essere presenti all’atto notarile per rilasciare le dichiarazioni richieste, anche se l’acquisto viene formalmente effettuato solo da uno dei due.
Ma perché è così importante che entrambi i coniugi siano coinvolti? E quali sono le implicazioni per coloro che non rispettano questa condizione?
Sommario
Le agevolazioni per l’acquisto della prima casa sono concesse a patto che l’acquirente rispetti determinate condizioni, formalizzate attraverso dichiarazioni da rendere al momento dell’atto notarile.
Queste condizioni, delineate nella nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa del Testo unico sull’imposta di registro, non riguardano solo la persona che interviene nell’atto, ma anche l’altro coniuge, in particolare quando la coppia è in regime di comunione legale.
Queste dichiarazioni sono essenziali per ottenere l’applicazione dell’aliquota agevolata, che si traduce in un’imposta di registro ridotta al 2% (rispetto all’aliquota ordinaria del 9%) per gli acquisti non soggetti a IVA, oppure al 4% (in luogo del 10%) se l’acquisto è soggetto a IVA. Senza tali dichiarazioni, le agevolazioni fiscali possono essere revocate pro quota o, nei casi più gravi, in toto.
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Advertisement - PubblicitàIl caso specifico che ha portato alla recente ordinanza della Corte di cassazione n. 26703 del 14 ottobre 2024 riguarda un atto di assegnazione di alloggio a una coppia in regime di comunione legale dei beni, emesso da una cooperativa edilizia. In tale contesto, solo uno dei coniugi aveva formalmente firmato l’atto di acquisto, chiedendo l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 4% sull’intero valore dell’immobile.
L’Agenzia delle entrate, durante i controlli, ha però ritenuto che il beneficio fiscale non fosse applicabile per intero, sostenendo che anche il coniuge non intervenuto avrebbe dovuto rilasciare le dichiarazioni di cui alla nota II-bis. Di conseguenza, l’Agenzia ha revocato parzialmente l’agevolazione, limitandola alla sola quota di competenza del coniuge firmatario.
Questa decisione è stata contestata dai coniugi, che hanno sostenuto la validità della richiesta di agevolazione sull’intero immobile, appellandosi all’articolo 177 del codice civile, secondo cui gli acquisti compiuti da uno dei coniugi in regime di comunione legale si estendono automaticamente all’altro.
Tuttavia, la Corte ha riaffermato che, pur in presenza del regime di comunione, la normativa fiscale richiede specificamente che entrambi i coniugi rendano le dichiarazioni richieste per ottenere l’agevolazione.
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Advertisement - PubblicitàLa Corte di cassazione ha confermato che, ai fini dell’ottenimento delle agevolazioni “prima casa,” non basta la comunione legale per estendere automaticamente i benefici fiscali a entrambi i coniugi. Secondo i giudici, infatti, la partecipazione all’atto notarile di entrambi i coniugi è necessaria per garantire che le dichiarazioni previste dalla legge vengano rese da entrambi.
La Corte ha citato precedenti sentenze (n. 1988/2015 e n. 14326/2018) che avevano già stabilito questo principio, ribadendo che l’estensione automatica dei diritti patrimoniali in comunione legale non può essere considerata un’eccezione alla regola fiscale.
In questo contesto, la Corte ha chiarito che la natura della comunione legale dei beni – secondo cui ogni acquisto effettuato da uno dei coniugi appartiene automaticamente anche all’altro – non esime dal rispettare le disposizioni fiscali specifiche per l’agevolazione. La norma fiscale richiede infatti che, al momento dell’acquisto, entrambi i coniugi dichiarino di non possedere altre abitazioni e di non aver già usufruito delle agevolazioni “prima casa.”
Questo obbligo formale di dichiarazione è considerato un requisito sostanziale per ottenere il beneficio, e non può essere eluso in virtù del regime patrimoniale scelto.
Advertisement - PubblicitàLa decisione della Corte di cassazione di limitare l’agevolazione fiscale alla sola quota del coniuge che ha sottoscritto l’atto di acquisto sottolinea le conseguenze di una mancata partecipazione di entrambi i coniugi all’atto notarile.
In pratica, nel caso in esame, l’Agenzia delle entrate ha revocato la parte di agevolazione che sarebbe spettata al coniuge non presente all’atto, applicando la quota piena di IVA su quella parte dell’immobile. Questo significa che, qualora uno dei coniugi non intervenga e non rilasci le dichiarazioni richieste, le agevolazioni fiscali verranno concesse solo per la parte acquistata dal coniuge firmatario.
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Questa interpretazione ha importanti risvolti per le coppie in comunione legale che desiderano acquistare una prima casa. Infatti, la mancata presenza di entrambi al rogito notarile potrebbe comportare un aumento dei costi fiscali imprevisti. Il regime fiscale prevede una differenza sostanziale tra l’aliquota agevolata e quella ordinaria: mentre l’IVA ridotta si applica al 4% per le agevolazioni, l’aliquota ordinaria è pari al 10%, con un impatto economico rilevante per l’acquirente.
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