Il Consiglio di Stato respinge la sanatoria per un sottotetto innalzato, chiarendo che il “Salva casa” non si applica retroattivamente e rafforzando l’importanza delle norme urbanistiche locali.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8542 del 2024, ha affrontato un caso emblematico per il settore edilizio, respingendo l’appello di una società che chiedeva la sanatoria per l’innalzamento di un sottotetto in un edificio vincolato. La vicenda ha sollevato questioni cruciali legate alle tolleranze costruttive e all’applicazione delle normative sopravvenute, come il recente “Salva Casa“.
Tuttavia, il Consiglio ha chiarito che tali normative non possono essere applicate retroattivamente per sanare interventi già oggetto di diniego sulla base della normativa vigente al momento della loro realizzazione.
La sentenza evidenzia la centralità del rispetto delle normative locali e nazionali nella pianificazione edilizia, sollevando interrogativi sulle possibilità effettive offerte dalle tolleranze costruttive e dalle leggi recenti.
Quali sono i limiti del “Salva casa”? E come influiscono sulle decisioni amministrative pregresse?
Sommario
La controversia ha origine dalla richiesta di una società di ottenere la sanatoria per un intervento edilizio che prevedeva l’innalzamento di un sottotetto di circa 40 cm, realizzato in parziale difformità rispetto al permesso di costruire originario.
L’edificio, situato in un’area storica e sottoposta a vincoli urbanistici stringenti, è classificato con un alto grado di protezione secondo il Piano degli Interventi del Comune, il quale limita severamente le modifiche volumetriche e di sagoma. Le norme tecniche di attuazione stabiliscono infatti che, per immobili tutelati, gli interventi di ristrutturazione possono essere eseguiti solo rispettando rigorosamente l’altezza, la sagoma e il volume preesistenti.
La società ricorrente aveva inizialmente richiesto una sanatoria basandosi sull’art. 34-bis del DPR 380/2001, che prevede tolleranze costruttive fino al 2% delle misure autorizzate. Tuttavia, il Comune, avvalendosi di una perizia tecnica di uno studio specializzato, aveva rilevato che l’incremento di altezza superava ampiamente i limiti di tolleranza consentiti.
Inoltre, l’intervento, secondo l’amministrazione, aveva comportato una modifica della sagoma dell’edificio, in violazione delle norme locali.
Dopo il rigetto della richiesta di sanatoria da parte del Comune, motivato anche dalla mancata conformità dell’intervento con la scheda urbanistica dell’immobile, la società aveva presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), che aveva confermato la legittimità del diniego.
In appello, la società ha portato il caso davanti al Consiglio di Stato, cercando di dimostrare che le modifiche apportate rientravano nelle tolleranze costruttive e che l’intervento era giustificato anche da esigenze di miglioramento sismico. La ricorrente ha inoltre invocato il recente “Salva casa” per sostenere la sanabilità delle opere realizzate.
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Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha respinto il ricorso, confermando che l’intervento non solo non rispettava le tolleranze previste al momento della richiesta di sanatoria, ma che la normativa sopravvenuta del “Salva casa” non poteva essere applicata retroattivamente per sanare abusi commessi in passato.
La decisione sottolinea come il rispetto del quadro normativo vigente al momento della realizzazione delle opere resti un principio fondamentale nella gestione edilizia.
Advertisement - PubblicitàNel giudizio d’appello dinanzi al Consiglio di Stato, la società ricorrente ha articolato una serie di argomentazioni per contestare il diniego di sanatoria. Uno dei punti centrali della difesa riguardava il richiamo all’art. 34-bis del DPR 380/2001, nella versione modificata dal D.L. 69/2024 conosciuta come “Salva casa”. Secondo la società, le modifiche apportate all’edificio rientravano nelle tolleranze costruttive consentite, che la normativa aggiornata aveva ampliato.
In particolare, la ricorrente sosteneva che l’innalzamento del sottotetto fosse conforme alla normativa sopravvenuta e che, quindi, il provvedimento di diniego dovesse essere rivalutato.
La società ha inoltre contestato le misurazioni tecniche effettuate dal Comune, affermando che l’aumento dell’altezza del sottotetto fosse stato calcolato in modo errato, prendendo a riferimento l’estradosso (la parte esterna del tetto) invece dell’intradosso (la parte interna). Tale errore, a suo dire, avrebbe escluso il superamento delle tolleranze consentite.
La ricorrente ha infine sostenuto che l’intervento fosse giustificato da esigenze di miglioramento sismico, un aspetto introdotto successivamente per dimostrare la necessità dell’opera.
Dall’altro lato, il Comune ha mantenuto una posizione ferma, ribadendo che l’intervento realizzato violava sia le norme tecniche di attuazione del Piano degli Interventi, che impongono il mantenimento della sagoma e del volume preesistenti, sia il limite del 2% previsto per le tolleranze costruttive. Le verifiche tecniche, affidate a un soggetto terzo, avevano dimostrato che l’incremento volumetrico e di altezza superava nettamente il margine consentito.
Inoltre, il Comune ha contestato la legittimità del richiamo al “Salva casa”, sostenendo che tale normativa sopravvenuta non poteva applicarsi retroattivamente ai fatti oggetto del giudizio.
Nel confronto, il Consiglio di Stato ha quindi dovuto bilanciare due esigenze: da un lato, la rigidità normativa richiesta per interventi in contesti vincolati; dall’altro, le argomentazioni avanzate dalla società a favore della sanabilità delle opere. La questione ha assunto un valore esemplare, sottolineando i confini tra tolleranze costruttive, normativa sopravvenuta e rispetto delle regole locali.
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Advertisement - PubblicitàIl Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, ha confermato la legittimità del diniego di sanatoria espresso dal Comune, respingendo integralmente l’appello della società ricorrente. Il collegio ha basato la propria decisione su un’analisi approfondita dei parametri normativi applicabili e delle evidenze tecniche presentate durante il procedimento.
Una delle questioni centrali riguardava l’interpretazione delle norme urbanistiche locali, che stabiliscono chiaramente l’impossibilità di alterare la sagoma e il volume di edifici sottoposti a protezione, a meno di specifiche deroghe, non presenti nel caso in questione. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che le modifiche al sottotetto, consistenti in un innalzamento di 40 cm, rappresentassero una variazione volumetrica e planimetrica significativa, in netto contrasto con i limiti imposti dal Piano degli Interventi e dalle schede urbanistiche dell’immobile.
Riguardo alle tolleranze costruttive del 2% previste dall’art. 34-bis del DPR 380/2001, il Consiglio ha evidenziato che l’incremento di altezza realizzato fosse ben oltre il margine consentito. Le misurazioni tecniche, effettuate da un soggetto terzo incaricato dal Comune, hanno mostrato un aumento di 41 cm, rispetto alla tolleranza massima di circa 22 cm.
In merito all’applicazione della normativa aggiornata introdotta dal decreto Salva casa, il Consiglio ha chiarito che tale normativa non può essere presa in considerazione nel giudizio. La legittimità del provvedimento impugnato deve infatti essere valutata sulla base delle leggi vigenti al momento della sua adozione, ossia nel 2021, quando il decreto non era ancora in vigore.
Il Consiglio di Stato ha inoltre indicato che, sebbene il Comune potrebbe eventualmente riconsiderare la questione alla luce della normativa sopravvenuta, questa possibilità esula dall’oggetto del giudizio. La decisione è stata quindi basata sul quadro normativo e sui fatti accertati all’epoca dell’adozione del diniego.
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