Il tema del condono edilizio è da sempre oggetto di dibattito in Italia. Da un lato, rappresenta un’opportunità per regolarizzare opere costruite senza autorizzazione; dall’altro, le amministrazioni pubbliche devono garantire il rispetto delle norme urbanistiche e ambientali, evitando che il territorio venga compromesso da abusi edilizi.

Una recente sentenza del TAR Lazio (n. 3934/2025) ha affrontato un caso che mette in luce proprio questo equilibrio delicato.

Un cittadino si era visto negare il condono richiesto per un piccolo locale di circa 4 mq, destinato a deposito attrezzi, realizzato su un terrazzo. Il Comune ha respinto la richiesta e ha successivamente ordinato la demolizione del manufatto. Tuttavia, il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza di demolizione per vizi procedurali.

Quando un’opera abusiva può essere sanata? Quali sono i limiti imposti dalle leggi nazionali e regionali? E cosa cambia con le nuove normative (Decreto Salva-Casa) sulle tolleranze edilizie?

Scopriamolo nel dettaglio.

Advertisement - Pubblicità

Il caso esaminato dal TAR Lazio

Il caso in questione ha origine dalla richiesta di sanatoria presentata da un cittadino per un piccolo manufatto di circa 4 mq, realizzato su un terrazzo e destinato a deposito attrezzi. L’opera, di natura pertinenziale rispetto all’edificio principale, era stata costruita senza titolo edilizio e successivamente sottoposta a una domanda di condono ai sensi del terzo condono edilizio disciplinato dal Decreto-Legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche nella Legge 24 novembre 2003, n. 326.

Leggi anche: Condono edilizio negato: il Consiglio di Stato conferma i limiti della sanatoria

Dopo un’attenta istruttoria, il Comune di Anzio ha negato la richiesta di condono, motivando il diniego con la presenza di vincoli paesaggistici e urbanistici nell’area in cui si trovava il manufatto. Secondo l’ente locale, la normativa regionale del Lazio esclude la possibilità di sanatoria per determinate costruzioni situate in aree sottoposte a vincolo, indipendentemente dalle loro dimensioni e dalla loro destinazione d’uso.

Successivamente, il Comune ha adottato un provvedimento repressivo ancora più incisivo: un’ordinanza di demolizione, con cui intimava al proprietario di rimuovere l’opera e ripristinare lo stato originario dei luoghi. La demolizione forzata rappresenta una delle misure più drastiche nell’ambito della disciplina edilizia, in quanto può comportare costi elevati per il cittadino e, in caso di inottemperanza, l’esecuzione diretta da parte del Comune con addebito delle spese.

Di fronte a questa doppia decisione sfavorevole, il proprietario ha deciso di impugnare entrambi i provvedimenti davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio), sollevando diversi profili di illegittimità.

In particolare, ha contestato:

  • L’errata applicazione delle norme sul condono edilizio, ritenendo che la costruzione fosse di modesta entità e quindi sanabile;
  • La violazione del principio del legittimo affidamento, dal momento che la richiesta di condono era stata presentata da anni senza ricevere riscontri immediati;
  • L’assenza di un preavviso di demolizione, che avrebbe impedito al cittadino di interloquire con l’amministrazione per trovare eventuali soluzioni alternative.
Advertisement - Pubblicità

Il terzo condono edilizio e le restrizioni regionali

Per comprendere meglio la decisione del TAR Lazio, è fondamentale analizzare il quadro normativo di riferimento. Il terzo condono edilizio, introdotto dal Decreto-Legge 30 settembre 2003, n. 269 e convertito nella Legge 24 novembre 2003, n. 326, rappresenta l’ultima grande sanatoria prevista a livello nazionale per gli abusi edilizi.

Tuttavia, rispetto ai condoni precedenti, questa misura ha introdotto limiti più stringenti, soprattutto in relazione alle aree vincolate.

La normativa statale stabilisce che gli immobili realizzati in zone soggette a vincoli paesaggistici, ambientali e archeologici non possono essere condonati, a meno che non si tratti di interventi di modesta entità come opere di manutenzione straordinaria, risanamento conservativo o restauro.

Leggi anche: Condono edilizio negato: il ruolo dei vincoli paesaggistici nella sanatoria

Questa restrizione è stata ulteriormente rafforzata dalle singole Regioni, che hanno avuto il potere di disciplinare in modo più dettagliato l’applicazione del condono nel proprio territorio.

Nel caso specifico del Lazio, la Legge Regionale 8 novembre 2004, n. 12, modificata dalla Legge Regionale 17/2005, ha introdotto regole ancora più severe. In particolare, l’articolo 3, comma 1, lettera b) della normativa regionale stabilisce che non possono essere sanate opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali, indipendentemente dal fatto che tali vincoli siano stati apposti prima o dopo la costruzione dell’abuso.

Questa disposizione ha avuto un impatto significativo sulla decisione del TAR Lazio. Il Tribunale ha richiamato anche importanti sentenze della Corte Costituzionale (n. 208/2019 e n. 181/2021), le quali hanno confermato che le Regioni possono adottare criteri più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla normativa nazionale, soprattutto per tutelare beni di interesse paesaggistico e ambientale.

Nel caso in esame, il manufatto rientrava in un’area classificata come zona omogenea B1-saturo, sottoposta a vincoli di tutela paesaggistica (sotto-categoria C.2.2). Di conseguenza, il TAR ha confermato che il Comune di Anzio aveva correttamente applicato la normativa, respingendo la richiesta di condono edilizio.

Advertisement - Pubblicità

Perché il TAR ha annullato l’ordinanza di demolizione

Se da un lato il TAR Lazio (sentenza n. 3934/2025) ha confermato la legittimità del diniego del condono edilizio, dall’altro ha accolto i motivi aggiunti del ricorso, annullando l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Anzio.

La motivazione principale dell’annullamento riguarda la violazione del diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo. Il Tribunale ha infatti evidenziato che il Comune, prima di adottare la misura demolitoria, avrebbe dovuto notificare un avviso di avvio del procedimento al proprietario, come previsto dall’articolo 7 della Legge 7 agosto 1990, n. 241.

Secondo il TAR, l’amministrazione locale avrebbe dovuto concedere al cittadino la possibilità di interloquire, soprattutto considerando due elementi fondamentali:

  • L’entità ridotta dell’abuso edilizio: trattandosi di un piccolo manufatto di 4 mq, la situazione avrebbe potuto rientrare nelle tolleranze edilizie, una categoria di interventi che, pur non essendo conformi alle norme urbanistiche, possono essere regolarizzati in alcuni casi.
  • L’entrata in vigore del Decreto Salva-Casa: la recente normativa introdotta con il Decreto-Legge 29 maggio 2024, n. 69, convertito nella Legge 24 luglio 2024, n. 105, ha ampliato le possibilità di sanatoria per alcune tipologie di difformità edilizie. Questo avrebbe potuto offrire al proprietario una soluzione alternativa alla demolizione, se gli fosse stata data la possibilità di presentare osservazioni o documentazione aggiuntiva.

Leggi anche: Salva Casa: la guida completa, ecco cosa puoi sanare

Il TAR ha inoltre richiamato diverse sentenze del Consiglio di Stato (tra cui la n. 5433/2023 e la n. 3710/2024), sottolineando che l’obbligo di comunicazione preventiva si applica anche ai provvedimenti edilizi vincolati, quando la situazione richiede un’istruttoria specifica per valutare l’applicabilità di nuove norme o di eventuali soluzioni alternative alla demolizione.

In definitiva, l’ordinanza di demolizione è stata annullata per vizi procedurali, senza però mettere in discussione il fatto che il manufatto fosse effettivamente abusivo e non condonabile. Il Comune, quindi, potrebbe adottare nuovamente un provvedimento demolitorio, ma dovrà prima garantire al cittadino la possibilità di partecipare attivamente al procedimento.