Una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania ha stabilito un principio fondamentale in materia di condono edilizio e vincoli paesaggistici, facendo chiarezza su quali siano gli obblighi dei Comuni nei procedimenti di sanatoria.

Un cittadino aveva presentato una richiesta di condono per un immobile realizzato in un’area soggetta a vincolo paesaggistico. Tuttavia, il Comune ha respinto l’istanza e ha ordinato la demolizione del manufatto, senza riaprire un adeguato procedimento di valutazione, nonostante un precedente annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza.

Il TAR ha ritenuto che l’operato dell’amministrazione comunale fosse illegittimo, sottolineando che, prima di emettere un provvedimento così grave come un ordine di demolizione, il Comune avrebbe dovuto riesaminare l’intera pratica con un’istruttoria completa e motivazioni dettagliate.

Questa sentenza porta con sé importanti implicazioni: quali obblighi ha davvero un Comune quando nega un condono? È sempre possibile ordinare la demolizione?

Scopriamo cosa dice la legge e come questa decisione potrebbe influenzare casi simili in futuro.

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Il caso specifico e le motivazioni del diniego

La controversia ha avuto origine quando un cittadino ha presentato ricorso contro il diniego di condono edilizio e la conseguente ordinanza di demolizione emessa dal Comune per un manufatto realizzato in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico. L’immobile, un deposito commerciale per oli minerali, era stato realizzato dal padre del ricorrente, oggi deceduto, ed era oggetto di una richiesta di condono presentata nel 1995 ai sensi della legge n. 724/1994, una delle norme cardine in materia di sanatoria edilizia.

Il Comune aveva rigettato l’istanza motivando il provvedimento con il solo annullamento di un’autorizzazione paesaggistica precedentemente rilasciata dallo stesso ente, poi revocata dalla Soprintendenza competente per presunti vizi di motivazione.

Tale annullamento, però, non era stato seguito da un riesame del caso o dall’avvio di un nuovo procedimento volto a valutare nuovamente la compatibilità paesaggistica del manufatto.

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In aggiunta al diniego, il Comune aveva emesso un’ordinanza di demolizione ai sensi dell’articolo 31 del D.P.R. 380/2001, imponendo al ricorrente di procedere alla rimozione dell’opera e al ripristino dello stato originario dei luoghi entro 90 giorni, con l’avvertimento che, in caso di mancato adempimento, il bene e l’area di sedime sarebbero stati acquisiti di diritto al patrimonio comunale.

Il ricorrente, ritenendo l’operato dell’amministrazione illegittimo, ha sostenuto che il Comune avrebbe dovuto riavviare un procedimento amministrativo di valutazione paesaggistica prima di negare definitivamente il condono e ordinare la demolizione.

Secondo la difesa, l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza non avrebbe potuto giustificare automaticamente il rigetto del condono, ma avrebbe richiesto un ulteriore approfondimento istruttorio per determinare se l’immobile fosse effettivamente sanabile.

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La normativa coinvolta e il vincolo paesaggistico

La vicenda si inserisce in un complesso quadro normativo che intreccia le disposizioni sul condono edilizio con la tutela dei vincoli paesaggistici. Due sono le norme principali richiamate nel caso: la legge n. 724/1994, che regolamenta le procedure per il condono edilizio, e l’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplina le conseguenze delle opere abusive, tra cui la demolizione e l’acquisizione delle aree al patrimonio pubblico.

Il manufatto oggetto della richiesta di condono si trovava in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, disciplinata dall’articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004).

Questo tipo di vincolo impone un obbligo di autorizzazione paesaggistica per qualsiasi intervento edilizio, con lo scopo di preservare i valori estetici, culturali e ambientali del territorio.

In questo caso, il Comune aveva inizialmente rilasciato l’autorizzazione paesaggistica, ma la Soprintendenza, autorità competente a livello statale per la tutela del paesaggio, l’aveva successivamente annullata per presunti difetti di motivazione.

A seguito di tale annullamento, il Comune avrebbe dovuto riesaminare la richiesta di condono alla luce delle nuove indicazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 32 della legge n. 47/1985 (norma transitoria per le sanatorie edilizie in aree vincolate).

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La normativa in materia richiede, infatti, che in caso di opere abusive soggette a vincolo paesaggistico, l’amministrazione proceda a una valutazione approfondita che tenga conto sia dell’impatto ambientale dell’opera sia delle specifiche circostanze del contesto urbanistico e paesaggistico attuale.

Secondo la giurisprudenza richiamata dal TAR, il Comune, nel riesaminare una richiesta di condono, non può limitarsi a confermare l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, ma deve motivare adeguatamente la decisione, considerando tutte le possibili alternative, inclusa l’eventualità di concedere una nuova autorizzazione.

Tale approfondimento, però, non è stato effettuato. Il Comune si è limitato a rigettare l’istanza e a emettere un’ordinanza di demolizione, contravvenendo così ai principi procedurali richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza consolidata.

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La posizione del TAR e la decisione finale

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con la sentenza n° 2482 del 2024, ha accolto il ricorso presentato dal cittadino, evidenziando che il Comune ha agito in difetto di istruttoria e di motivazione. La sentenza ha chiarito che l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza non legittima automaticamente il rigetto della richiesta di condono edilizio, né giustifica l’emissione di un’ordinanza di demolizione senza ulteriori approfondimenti.

Secondo il TAR, la normativa vigente richiede che, una volta annullata un’autorizzazione paesaggistica, il Comune riapra il procedimento amministrativo per valutare se l’opera possa essere sanata attraverso una nuova autorizzazione, sulla base di una motivazione adeguata e aggiornata.

Tale principio, già sancito in precedenti sentenze del Consiglio di Stato, impone all’amministrazione di considerare tutte le circostanze del caso, comprese le caratteristiche dell’opera, il contesto paesaggistico attuale e l’eventuale presenza di motivazioni di interesse pubblico che giustifichino la sanatoria.

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Nel caso in esame, il TAR ha riscontrato che il Comune non ha adempiuto a tale obbligo, limitandosi a confermare il diniego del condono senza rivalutare la richiesta né fornire una motivazione rafforzata, come richiesto per le aree vincolate. Di conseguenza, il provvedimento è stato ritenuto viziato per eccesso di potere e violazione dei principi di trasparenza e partecipazione amministrativa.

La sentenza del TAR non si limita ad annullare il diniego del condono e l’ordinanza di demolizione, ma ribadisce che, nella riedizione del procedimento, il Comune dovrà esaminare nuovamente l’istanza di sanatoria, valutando se sussistano i presupposti per il rilascio di una nuova autorizzazione paesaggistica. Solo nel caso in cui tale valutazione risulti negativa, sarà possibile emettere un nuovo provvedimento di diniego, adeguatamente motivato, e l’eventuale ordine di demolizione.