Il condono edilizio è uno strumento che permette di sanare opere realizzate senza permesso, ma non sempre è applicabile, specialmente in aree soggette a vincoli paesaggistici e ambientali.
La sentenza del TAR Lazio n. 15138/2024 ha recentemente chiarito i limiti di questo strumento nelle zone protette, evidenziando come i vincoli imposti a livello nazionale prevalgano su qualsiasi normativa regionale più permissiva.
Ma quali sono le opere che non possono essere sanate? E come si applicano i vincoli paesaggistici alle richieste di condono?
Scopriamo insieme i dettagli della sentenza e le implicazioni per chi intende regolarizzare abusi edilizi in aree tutelate.
Sommario
Il TAR Lazio, con la sentenza n. 15138/2024 del 24 luglio, ha fornito un’importante chiarificazione sul tema del Terzo condono edilizio, in particolare per quanto riguarda gli interventi in aree soggette a vincoli paesaggistici e ambientali.
Nel caso esaminato la questione riguardava una richiesta di condono per un intervento di cambio di destinazione d’uso di un immobile. Nello specifico, l’intervento consisteva nella trasformazione di locali originariamente adibiti a scuderie in sei unità residenziali, situate in un’area sottoposta a vincoli paesaggistici e ambientali. La zona, infatti, era tutelata ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. b) del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e classificata come area di interesse naturalistico, geomorfologico e vegetazionale.
La ristrutturazione ha comportato un ampliamento significativo delle superfici abitative e un conseguente aggravio del carico urbanistico della zona. Secondo la normativa vigente, questo tipo di intervento rientra tra quelli classificati come ristrutturazione edilizia di rilevante impatto, e per questo motivo non condonabile in aree vincolate. Nonostante l’intervento fosse conforme alle norme urbanistiche e agli strumenti urbanistici locali, i vincoli paesaggistici imposti a livello statale ne hanno impedito la sanatoria.
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Il TAR ha quindi confermato che l’amministrazione comunale ha agito correttamente nel negare il condono, poiché il cambio di destinazione d’uso con aumento di volumetrie è uno degli abusi esclusi dal Terzo condono edilizio, soprattutto in zone dove la tutela del paesaggio e dell’ambiente è considerata prioritaria rispetto alla possibilità di regolarizzare opere abusive.
La sentenza ha stabilito che, in tali contesti, la normativa nazionale prevale su quella regionale, restringendo l’ambito di applicazione della sanatoria e impedendo il condono per gli interventi che non rispettano i vincoli imposti a tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Advertisement - PubblicitàUno dei punti centrali della sentenza è la conferma che, in materia di condono edilizio, la normativa statale prevale su quella regionale quando si tratta di vincoli di protezione del paesaggio e dell’ambiente. Nella sua argomentazione, il TAR ha rigettato l’idea che un’opera possa essere condonata semplicemente perché non soggetta ai vincoli indicati dalla legge regionale.
La legge statale, infatti, stabilisce chiaramente che le aree soggette a vincoli di tutela idrogeologica, paesaggistica e ambientale non possono beneficiare di condoni, indipendentemente dalle disposizioni meno restrittive delle leggi locali.
La sentenza si richiama anche alla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 71/2005 aveva riconosciuto alle Regioni il potere di modulare la portata del condono edilizio, ma sempre nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge statale. Questo significa che le Regioni possono regolare la sanatoria per abusi minori, ma non possono ampliarne il perimetro rispetto a quanto previsto dalla normativa nazionale.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del TAR Lazio chiarisce inoltre che non tutti gli interventi edilizi sono suscettibili di condono, soprattutto quelli realizzati in aree vincolate. Il Terzo condono edilizio, disciplinato dall’art. 32 del Decreto Legge n. 269 del 2003, permette la sanatoria solo per interventi di minore entità, come il restauro, il risanamento conservativo e la manutenzione straordinaria.
Tuttavia, opere più invasive, come ampliamenti di volumetrie o cambi di destinazione d’uso, non possono essere condonate se realizzate in zone vincolate, come specificato dall’Allegato 1 del medesimo decreto.
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Nel caso esaminato, il TAR ha sottolineato che l’intervento di cambio di destinazione d’uso da scuderie a unità abitative rientra nella categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia, classificati tra quelli non condonabili secondo la normativa vigente. Questo tipo di intervento, infatti, comporta un aggravio del carico urbanistico e un significativo impatto sul territorio, fattori che lo escludono dalla possibilità di sanatoria.
Advertisement - PubblicitàUn altro aspetto fondamentale della sentenza riguarda l’applicazione dei vincoli paesaggistici e ambientali, che giocano un ruolo cruciale nel determinare l’ammissibilità di un condono.
Nel caso in questione, l’area dove è stato realizzato l’intervento edilizio era soggetta a diversi vincoli, tra cui quelli previsti dall’art. 134, comma 1, lett. b) del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che tutelano le aree di rilevanza paesaggistica, naturalistica e geomorfologica.
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Il TAR Lazio ha ribadito che, in presenza di tali vincoli, non è possibile concedere una sanatoria per interventi che modificano in modo significativo la destinazione d’uso o l’aspetto degli edifici. Questo è stato il motivo principale per cui la richiesta di condono è stata respinta: l’intervento realizzato non solo era vietato dai vincoli locali, ma rientrava anche tra le tipologie di abuso edilizio non condonabili ai sensi del decreto legislativo.
Advertisement - PubblicitàA sostegno della sua decisione, il TAR Lazio ha richiamato la sentenza n. 71/2005 della Corte Costituzionale, che ha stabilito un principio chiave: il legislatore regionale può intervenire per regolare le modalità del condono edilizio, ma non può mai superare i limiti imposti dalla normativa statale.
Questo significa che le Regioni possono disciplinare quali tipologie di abusi edilizi possono essere sanati, ma senza mai ampliare la possibilità di sanatoria oltre quanto previsto a livello nazionale.
In particolare, la Corte ha ribadito che è di competenza dello Stato individuare le opere abusive non suscettibili di condono, stabilire i limiti temporali per la realizzazione degli interventi e definire le volumetrie massime ammissibili per la sanatoria. Pertanto, qualsiasi disposizione regionale che permettesse un condono su opere che violano i vincoli paesaggistici sarebbe costituzionalmente illegittima.
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