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Condono edilizio: limiti volumetrici invariati se il frazionamento non è documentato

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Con la sentenza n. 38815 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di abuso edilizio riguardante un immobile situato in un’area sottoposta a vincoli paesaggistici.

Il ricorso, presentato contro l’ordine di demolizione emesso dal Tribunale di Napoli, è stato respinto, evidenziando i limiti normativi e le regole per il condono edilizio.

Ma cosa ha spinto i giudici a confermare la demolizione? Quali sono le lezioni pratiche per chi si trova in situazioni simili?

Analizziamo i dettagli di questa sentenza per capire meglio le sue implicazioni.

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Il contesto della sentenza

Il caso coinvolgeva più persone che avevano ereditato o occupato porzioni di un immobile abusivo situato in una zona protetta. L’immobile era stato costruito senza autorizzazione in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, e la demolizione era stata ordinata dal Tribunale di Napoli, ritenendo che violasse le normative urbanistiche e paesaggistiche vigenti.

Le persone coinvolte avevano presentato ricorso, sostenendo che l’immobile fosse suddiviso in quattro unità autonome e che ciascun proprietario avesse il diritto di presentare una propria domanda di condono edilizio.

Tuttavia, il giudice ha sottolineato che si trattava di un unico fabbricato non frazionato legalmente, con una volumetria complessiva di 1680 metri cubi, ben al di sopra del limite massimo di 750 metri cubi previsto dalla normativa sui condoni.

Leggi anche: Condono edilizio negato: il ruolo dei vincoli paesaggistici nella sanatoria

Inoltre, la Corte ha evidenziato che non era stato dimostrato alcun titolo negoziale che attribuisse la proprietà esclusiva di porzioni specifiche agli occupanti al momento della presentazione delle richieste di sanatoria.

Questo scenario è emblematico delle difficoltà nell’applicazione dei condoni edilizi, specialmente quando si tenta di suddividere immobili abusivi per aggirare i limiti volumetrici. La Corte ha ribadito che la mera divisione di fatto, senza un frazionamento reale e legale, non è sufficiente a legittimare richieste autonome di condono.

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I limiti volumetrici: cosa dice la legge?

Il caso analizzato si basa su principi sanciti da normative fondamentali per il settore urbanistico italiano, tra cui la Legge 47/1985 e la Legge 724/1994, che regolano il condono edilizio.

In particolare, la Legge 724/1994 stabilisce un limite massimo di volumetria pari a 750 metri cubi per ciascuna richiesta di sanatoria, prevedendo che questa possa essere presentata solo se l’immobile in questione rispetta specifici requisiti. Tra questi, è essenziale che l’unità immobiliare sia chiaramente frazionata e che ogni porzione abbia un titolo legale distinto, come proprietà, usufrutto, o altro diritto reale o personale di godimento.

La Corte di Cassazione ha ribadito che il frazionamento “di fatto” non è sufficiente per eludere il limite volumetrico.

Il condono può essere concesso solo quando il frazionamento è formalmente riconosciuto da atti legali validi. Inoltre, l’immobile in questione era situato in un’area vincolata, per la quale il condono è soggetto a ulteriori restrizioni, richiedendo l’approvazione delle autorità competenti in materia di tutela paesaggistica.

Questo quadro normativo riflette l’intento del legislatore di bilanciare le esigenze dei cittadini con la salvaguardia del territorio, evitando che sanatorie edilizie diventino strumenti per regolarizzare abusi di grandi proporzioni o che compromettano paesaggi protetti.

Approfondisci: Il condono edilizio 2024: come funziona, novità e regolarizzazione degli abusi

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La sentenza della Corte di Cassazione

Con la sentenza n. 38815 del 2024, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato contro l’ordinanza di demolizione emessa dal Tribunale di Napoli.

I proprietari avevano tentato di ottenere il condono edilizio presentando istanze separate, ciascuna relativa a una porzione dell’edificio, nella speranza di aggirare il limite volumetrico di 750 metri cubi previsto dalla Legge 724/1994.

La Corte ha ritenuto che tali richieste fossero inammissibili per diversi motivi. Innanzitutto, l’immobile non era legalmente frazionato al momento della presentazione delle domande di condono: non esistevano atti notarili, divisioni patrimoniali o altri documenti che attestassero la separazione formale delle unità abitative. Di conseguenza, le istanze separate sono state considerate un unico tentativo di eludere il limite volumetrico, un principio più volte ribadito dalla giurisprudenza.

Inoltre, la Corte ha sottolineato l’impossibilità di concedere il condono per un immobile situato in un’area vincolata, se non nel rispetto di criteri estremamente rigorosi. I vincoli paesaggistici, infatti, impongono che ogni intervento edilizio sia compatibile con la tutela dell’ambiente e del paesaggio.

In questo caso, l’immobile superava i limiti imposti dalla normativa vigente e non era supportato da una documentazione sufficiente a giustificare la sanatoria.

Un ulteriore aspetto affrontato dalla sentenza riguarda la natura eccezionale del condono edilizio, che non può essere interpretato come uno strumento per regolarizzare abusi indiscriminati. La Corte ha richiamato precedenti giurisprudenziali che vietano la suddivisione artificiosa di immobili unici per ottenere sanatorie multiple, ribadendo che il condono è ammissibile solo quando l’immobile rispetta pienamente i requisiti di legge.



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TAGS: abusivismo edilizio, condono edilizio, demolizione abusivismo, legge 47/1985, normative edilizie, sanatoria edilizia, sentenza cassazione, vincolo paesaggistico, volumetria 750 mc

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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