Nell’ambito della convivenza in condominio, i lavori di manutenzione e riparazione delle parti comuni devono generalmente essere sempre oggetto di un provvedimento discusso e approvato nel corso di un’assemblea condominiale.
Nell’ambito della convivenza in condominio, i lavori di manutenzione e riparazione delle parti comuni devono generalmente essere sempre oggetto di un provvedimento discusso e approvato nel corso di un’assemblea condominiale.
Chiaramente è necessario considerare sempre l’entità dei lavori, ma se si tratta di interventi di manutenzione straordinaria, la regola non può essere derogata neanche dall’amministratore di condominio, e neanche in casi di urgenza.
Lo prevede l’art. 1135 del Codice Civile, secondo cui: “L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.”
Il carattere di urgenza nelle riparazioni in condominio viene invece riconosciuto a favore del singolo condomino. Questo ha infatti la possibilità di provvedere ai lavori di riparazione delle parti comuni anche individualmente, se dovessero essere urgenti, e le spese che ha conseguito dovranno poi essere ripartite tra tutti i condomini interessati dall’utilizzo delle parti oggetto di lavori.
Approfondiamo di seguito.
Sommario
In merito ai lavori di riparazione che vengono eseguiti in condominio, il Codice Civile dispone che l’amministratore sia tenuto a disciplinare l’uso dei beni comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che sia assicurato per ogni soggetto il miglior godimento possibile.
Sempre l’amministratore è tenuto inoltre a procedere al compimento degli atti conservativi delle parti comuni. L’assemblea è tenuta invece a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, con la costituzione di un fondo obbligatorio dedicato.
Ne abbiamo parlato di recente nell’articolo “Infiltrazioni in condominio: chi paga? Senza prove nessun risarcimento”.
Come detto, l’amministratore non può procedere autonomamente ai lavori di manutenzione straordinaria. Il singolo condomino, invece, se si tratta di lavori urgenti, può agire a proprie spese senza comunicare prima l’esecuzione degli interventi all’assemblea o all’amministratore.
Nel caso in cui poi si trattasse di lavori necessari e di carattere urgente, come delle riparazioni ad esempio, il singolo potrà procedere a sue spese per poi richiedere il rimborso delle spese sostenute a tutti gli altri.
L’art. 1134 c.c. stabilisce infatti che:
“Il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.”
Questo significa dunque che il singolo condomino può procedere individualmente alla gestione delle cose comuni. Attenzione, ciò è consentito al solo fine di apportare delle migliorie al fabbricato, in quanto l’art. 1120 stabilisce espressamente che:
Advertisement - Pubblicità“Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.”
Ricordiamo che i condomini possono rifiutarsi di partecipare alle spese necessarie per la realizzazione o riparazione delle cose comuni, solo se si tratta di:
L’utilizzazione separata consente ai condòmini contrari di non partecipare alle spese, ma vieta anche loro di poter utilizzare l’opera realizzata.
Nel caso in cui l’utilizzazione separata non fosse possibile – e quindi i condòmini contrari non potessero scegliere di non utilizzare l’opera realizzata – questi saranno costretti a partecipare alle spese sostenute.
Per saperne di più, leggi: “Condòmini contrari: vietato l’utilizzo, ma si può cambiare idea”
Advertisement - PubblicitàLa tesi descritta è stata riconfermata di recente nella sentenza n. 452 del 7 maggio 2023 del Tribunale di Sassari.
La vicenda, iniziata nel 2017, riguarda il caso di un condominio in cui un appartamento è stato interessato da un allagamento di liquami causato dall’esplosione delle condutture fognarie dell’edificio, poste sotto il piano di calpestio del giardino dell’unità interessata.
Per via dei danneggiamenti subiti, la proprietaria dell’appartamento ha dovuto provvedere all’esecuzione di diversi interventi di riparazione, quali:
La donna, che per gli interventi di riparazione ha sostenuto un ammontare di spese pari a 6.100,00 euro autonomamente, ha in seguito richiesto al condominio il rimborso di tali spese, in quanto lo imputava responsabile dell’accaduto, ma il condominio si è rifiutato.
Successivamente, la donna ha donato l’immobile danneggiato e la nuova proprietaria ha provveduto poi a citare in giudizio il condominio per ottenere il risarcimento dei danni subiti dall’immobile nonché il rimborso per le spese sostenute per la riparazione delle condutture fognarie sostenute dalla donante.
Il condominio a quel punto lamentava il fatto che fosse stata la donataria – che ha ottenuto la proprietà dell’immobile solo in data 29 maggio 2019 – a richiedere un risarcimento dei danni subiti. Il contratto di donazione infatti non prevedeva alcuna cessione del diritto al risarcimento alla donataria, sebbene la donante affermasse di aver ceduto il suo diritto a favore della donataria tramite un accordo verbale.
Il condominio faceva presente tra l’altro che la vecchia proprietaria dell’immobile – prima di sostenere le spese dette – aveva comunicato ai condomini la presenza del danno e, nonostante l’intera amministrazione condominiale si fosse attivata per indire l’assemblea e approvare i lavori, la donna aveva provveduto autonomamente a commissionare a proprie spese l’esecuzione degli stessi.
Advertisement - PubblicitàIl Tribunale di Sassari ha ritenuto in primo luogo che, in virtù del solo accordo verbale, non potesse ritenersi valido il trasferimento del diritto di risarcimento in favore della donataria.
La prima tesi proposta dal condominio è stata infatti accettata per via della mancanza di un contratto che prevedesse la cessione del diritto al risarcimento.
Essendo intervenuta, tuttavia, nella vicenda giudiziaria anche la vecchia proprietaria dell’immobile – quella che ha subìto il danno e sostenuto le spese – il Tribunale ha invece riconosciuto a suo favore il rimborso delle spese sostenute.
Dalla documentazione, è emerso che erano passati 4 mesi dal momento dello scoppio delle condutture al momento in cui la donna ha provveduto a commissionare l’esecuzione dei lavori a proprie spese.
È risultato inoltre che il pericolo che gli allagamenti potessero riverificarsi fosse concreto e reale, ed è questo elemento a garantire ai lavori il carattere di “urgenza”, come chiarito con la sentenza della Cassazione civile n. 25729 del 30 ottobre 2017.
Qui è stato precisato che l’urgenza non è rappresentata dall’eventuale stato di degrado del bene, ma dal fatto che lo stato di degrado – e quindi la mancata manutenzione – possa far sì che quel bene produca danni o pericoli.
È stata riconosciuta dunque la responsabilità del condominio, che è tenuto sempre a provvedere alla manutenzione ordinaria delle cose comuni, in quanto ne è proprietario e custode.
La disposizione è prevista all’art. 2051 c.c. – recante i danni provocati dalle cose in custodia – e assume particolare riferimento quando i danni sono causati dalla mancata manutenzione di un bene come le condutture fognarie, che rientrano tra i sistemi indispensabili in condominio.
In conclusione – avendo accertato i caratteri fondamentali di “necessità” e di “urgenza” per quanto riguarda i lavori di riparazione delle parti comuni condotte dal singolo condomino – si ritiene che la donna abbia agito ragionevolmente, con la diligenza del “buon padre di famiglia”, e i condomini dovranno provvedere al rimborso delle spese sostenute.
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