Nel contesto condominiale, le dispute sui diritti di veduta sono molto comuni, specialmente quando un vicino installa un’opera che ostacola la visuale o modifica l’assetto preesistente di un edificio. Il Tribunale di Bologna, con una recente ordinanza del 16 febbraio 2025 (N. R.G. 5634/2024), si è pronunciato su un caso di presunta violazione del diritto di veduta in appiombo a causa dell’installazione di una pergotenda in un’area cortiliva.

La vicenda ha visto contrapposti due condomini: da un lato, un proprietario del primo piano che lamentava l’impossibilità di esercitare la veduta verso il basso a causa della nuova struttura; dall’altro, i vicini del piano terra, che sostenevano la legittimità dell’opera e il consenso preventivo da parte dello stesso ricorrente.

Quando un’opera può essere considerata un ostacolo illecito alla veduta? Cosa si intende per “spoglio possessorio” e in quali casi si può agire per ripristinare la situazione precedente?

Vediamo nel dettaglio cosa ha deciso il tribunale.

Advertisement - Pubblicità

Il caso concreto: la contestazione del diritto di veduta

La controversia nasce quando il proprietario di un appartamento situato al primo piano di un condominio ha presentato ricorso, sostenendo di essere stato spogliato del proprio diritto di veduta in appiombo. Secondo quanto esposto nel ricorso, i vicini del piano terra avrebbero installato una struttura in ferro, collocata a soli 20 cm sotto la soglia delle finestre del primo piano.

Il ricorrente ha sottolineato come questa installazione violasse l’art. 907 del Codice Civile, che stabilisce le distanze minime da rispettare tra costruzioni per non ostacolare il diritto di veduta.

Articolo n° 907
Distanza delle costruzioni dalle vedute

Quando si e’ acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non puo’ fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

Inoltre, ha evidenziato che:

  • L’opera è stata ancorata stabilmente al suolo, rendendola un intervento permanente e non occasionale.
  • Successivamente, è stata aggiunta una bandinella che univa la struttura alla facciata dell’edificio, aggravando l’ostruzione visiva.
  • Non ha mai dato il proprio consenso all’installazione, e la struttura rappresenterebbe non solo una limitazione del diritto di veduta, ma anche un potenziale pericolo per la sicurezza, agevolando l’accesso di estranei alla sua proprietà.

Non avendo ottenuto alcun riscontro alla richiesta di rimozione dell’opera, inviata tramite raccomandata, il ricorrente ha quindi avviato un’azione di reintegrazione nel possesso ai sensi dell’art. 1168 c.c., chiedendo al tribunale di ordinare la demolizione della struttura e di ripristinare lo stato precedente.

Inoltre, ha richiesto l’imposizione di una penale giornaliera di 100 euro per ogni giorno di ritardo nell’eliminazione dell’opera.

Advertisement - Pubblicità

La difesa dei resistenti: consenso e conformità dell’opera

I proprietari dell’appartamento al piano terra hanno contestato le accuse sostenendo che l’installazione della pergotenda fosse del tutto lecita e conforme alle normative edilizie. Secondo la loro versione, il ricorrente era stato preventivamente informato dell’opera e aveva addirittura espresso il proprio consenso. In particolare, hanno prodotto in giudizio una conversazione avvenuta nella chat condominiale su WhatsApp l’11 gennaio 2023, in cui avevano descritto nel dettaglio il progetto e allegato fotografie esplicative.

La comunicazione conteneva una richiesta esplicita di approvazione rivolta agli altri condomini, tra cui il ricorrente, che aveva risposto con un commento positivo e un’emoji con il pollice alzato. Questo è stato interpretato come un chiaro segnale di assenso.

Leggi anche: Convocazione assemblea condominiale: whatsApp, e-mail ed SMS non bastano

Un altro punto centrale della loro difesa riguardava la natura dell’opera: la pergotenda installata nel cortile non poteva essere considerata una costruzione stabile, in quanto si trattava di una struttura autoportante con telo retrattile, non fissata permanentemente al suolo. Per questo motivo, secondo i resistenti, non si applicavano le distanze previste dall’articolo 907 del Codice Civile.

Inoltre, il Regolamento Edilizio del Comune di Bologna non prevede particolari restrizioni per l’installazione di tende o pergole di questo tipo.

I resistenti hanno anche sottolineato che la pergotenda non copriva tutte le finestre del ricorrente, ma solo una porzione del cortile, lasciando libere le altre vedute. La sua presenza serviva a garantire una maggiore privacy e a creare uno spazio riparato per la figlia minore, che lo utilizzava per esercizi di ginnastica posturale a causa di problemi di salute.

Nonostante la loro convinzione che l’opera fosse legittima, per venire incontro alle richieste del ricorrente avevano comunque provveduto a rimuovere la bandinella che univa la struttura alla facciata dell’edificio, anche se il suo unico scopo era quello di proteggere il muro dalla percolazione dell’acqua piovana.

Infine, nel caso in cui il tribunale avesse ordinato la rimozione della pergotenda, i resistenti hanno chiesto che le spese fossero sostenute dal ricorrente, ritenendo che, avendo inizialmente approvato l’opera, non potesse ora pretendere la loro esclusiva responsabilità per lo smontaggio.

Leggi anche: Come installare una pergotenda senza violare le norme condominiali

Advertisement - Pubblicità

La decisione del giudice: quando il consenso esclude lo spoglio

Dopo aver esaminato le argomentazioni di entrambe le parti, il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per l’azione di reintegrazione nel possesso. Il giudice ha fondato la sua decisione principalmente sul fatto che l’installazione della pergotenda non poteva essere considerata un atto di spoglio violento o clandestino, elemento essenziale per ottenere la tutela possessoria prevista dall’articolo 1168 del Codice Civile.

Uno degli aspetti più rilevanti emersi nel procedimento è stato il consenso iniziale espresso dal ricorrente. Il tribunale ha ritenuto che la comunicazione inviata tramite la chat condominiale fornisse un’informazione chiara e dettagliata sulla futura installazione della struttura. Inoltre, il giudice ha sottolineato che la risposta del ricorrente, che aveva manifestato un atteggiamento favorevole, escludeva la possibilità di considerare l’intervento come un’azione unilaterale imposta dai resistenti.

Un altro punto decisivo è stato il fatto che la pergotenda, per le sue caratteristiche, non potesse essere considerata una vera e propria costruzione soggetta alle distanze previste dall’articolo 907 del Codice Civile. Essendo una struttura autoportante, con telo retrattile e non ancorata in modo permanente al suolo, rientrava tra le opere che, secondo il Regolamento Edilizio del Comune di Bologna, non necessitano di particolari autorizzazioni né sono soggette a restrizioni sulle distanze minime.

Leggi anche: Quali sono le distanze legali per il condominio? ecco tutto quello che devi sapere

Il giudice ha infine richiamato alcune sentenze della Corte di Cassazione, secondo cui il consenso del possessore esclude l’animus spoliandi, ovvero l’intenzione di privare qualcuno di un proprio diritto in modo illecito. Di conseguenza, non si poteva parlare di uno spoglio illegittimo, ma piuttosto di una contestazione tardiva di un’opera che il ricorrente aveva inizialmente accettato.

Alla luce di queste considerazioni, il tribunale ha quindi rigettato la richiesta di rimozione della pergotenda e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese legali, quantificate in 4.237 euro, oltre agli oneri accessori.