Il Decreto Salva Casa ha introdotto modifiche alle superfici e alle altezze minime dei monolocali, garantendo maggiore flessibilità nella progettazione. Tuttavia, restano imprescindibili i requisiti igienico-sanitari e di adattabilità per garantire comfort abitativo.
Un monolocale rappresenta una soluzione abitativa compatta e funzionale, particolarmente adatta alle esigenze di chi vive nelle grandi città o cerca un alloggio di piccole dimensioni. Tuttavia, per essere considerato abitabile, un monolocale deve rispettare precise normative in termini di altezza e superficie minima.
Con l’entrata in vigore del Decreto Salva Casa, queste regole sono state modificate, influenzando non solo il modo di progettare gli spazi, ma anche il comfort abitativo stesso.
In questo articolo esploreremo le novità introdotte dal Decreto e vedremo quali effetti potrebbero avere sulla qualità degli ambienti e sulla vivibilità dei monolocali.
Sommario
Prima dell’entrata in vigore del Decreto Salva Casa, la normativa stabiliva che un monolocale dovesse avere una superficie minima di 28 m² per una persona e 38 m² per due persone, secondo quanto previsto dal Decreto Ministeriale del 5 luglio 1975.
Questo vincolo, seppur mirato a garantire un certo livello di comfort abitativo, limitava le possibilità di costruzione, specialmente nelle grandi città dove la richiesta di piccoli alloggi a prezzi accessibili è sempre più alta.
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Con il Decreto Salva Casa, queste dimensioni sono state ridotte: ora un monolocale può avere una superficie minima di 20 m² per una persona e 28 m² per due persone. Questa modifica ha l’obiettivo di favorire la creazione di spazi abitativi più economici e accessibili, senza però compromettere i requisiti essenziali di vivibilità.
Nonostante la riduzione della superficie, infatti, resta fondamentale rispettare altri parametri legati all’illuminazione, alla ventilazione naturale e alle norme igienico-sanitarie, che analizzeremo più avanti.
Advertisement - PubblicitàOltre alla superficie minima, un altro aspetto fondamentale per la vivibilità di un monolocale è l’altezza interna dei locali.
Prima delle modifiche introdotte dal Decreto Salva Casa, il Decreto Ministeriale del 1975 richiedeva che l’altezza minima dei locali adibiti ad abitazione fosse di 2,70 metri, con la possibilità di ridurre tale valore a 2,40 metri solo per corridoi, disimpegni, bagni e ripostigli.
Questo parametro era pensato per garantire un’adeguata circolazione dell’aria e una sensazione di ampiezza all’interno degli spazi abitativi.
Con il Decreto Salva Casa, l’altezza minima è stata ulteriormente ridotta a 2,40 metri per tutti i locali abitativi, inclusi i monolocali.
Questo cambiamento apre nuove possibilità per la progettazione di edifici residenziali, permettendo la realizzazione di ambienti con soffitti più bassi, il che può risultare vantaggioso in termini di costi di costruzione e di efficienza energetica. Tuttavia, l’impatto di questa riduzione sull’abitabilità e sulla percezione di spazio è ancora oggetto di discussione.
Un’altezza inferiore potrebbe, infatti, limitare la sensazione di apertura e luminosità di un ambiente già ridotto in termini di superficie.
Advertisement - PubblicitàNonostante le riduzioni delle dimensioni e dell’altezza minima dei locali, il Decreto Salva Casa non compromette i requisiti igienico-sanitari, che rimangono fondamentali per garantire la qualità della vita negli spazi abitativi.
Secondo il Decreto Ministeriale del 5 luglio 1975, questi requisiti riguardano principalmente la presenza di finestre e aperture adeguate, la ventilazione naturale e l’illuminazione. In particolare, ogni stanza abitabile – come la camera da letto, il soggiorno e la cucina – deve essere dotata di finestre con una superficie apribile pari ad almeno 1/8 della superficie pavimentata della stanza. Questo permette di garantire una buona aerazione naturale e un’illuminazione adeguata.
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Il Decreto Salva Casa, pur riducendo le superfici minime, non fa concessioni sui requisiti di salubrità degli spazi. Rimane quindi obbligatorio che ogni alloggio, monolocale compreso, soddisfi tali condizioni.
Inoltre, il DPR 380/2001, modificato dal decreto, richiede che il progettista abilitato fornisca un’asseverazione che confermi la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie. Questo passaggio è essenziale per garantire che, anche in presenza di superfici ridotte, l’alloggio sia comunque vivibile e sicuro.
Advertisement - PubblicitàUn aspetto cruciale che emerge dalla normativa è il concetto di adattabilità, introdotto dal DM 236/1989 relativo all’abbattimento delle barriere architettoniche. L’adattabilità si riferisce alla possibilità di modificare gli spazi abitativi nel tempo, con costi contenuti, per renderli accessibili anche a persone con ridotta capacità motoria o sensoriale.
Questo requisito diventa particolarmente rilevante nei monolocali, dove lo spazio è già ridotto e ogni dettaglio progettuale deve essere pensato per massimizzare la fruibilità.
Nel contesto dei monolocali, l’adattabilità riguarda principalmente il posizionamento e il dimensionamento degli arredi, delle porte e dei servizi igienici. Ad esempio, per garantire la possibilità di rotazione di una sedia a rotelle, deve essere previsto uno spazio libero di almeno 150×150 cm, che può salire a 170×170 cm per una maggiore comodità.
Le porte, inoltre, dovrebbero preferibilmente essere scorrevoli per evitare l’ingombro, e il bagno deve offrire uno spazio adeguato per il movimento, con almeno 135×150 cm di spazio libero.
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Questi accorgimenti progettuali sono fondamentali per garantire che i monolocali non solo siano abitabili, ma anche flessibili nel tempo, permettendo eventuali modifiche per esigenze future. Anche se il Decreto Salva Casa non menziona esplicitamente l’adattabilità, si prevede che i tecnici incaricati debbano dimostrare il rispetto di questo requisito durante la fase di progettazione.
Advertisement - PubblicitàLe modifiche introdotte dal Decreto Salva Casa rappresentano un’importante evoluzione nella normativa edilizia, consentendo la realizzazione di monolocali con superfici e altezze ridotte. Sebbene queste nuove disposizioni permettano una maggiore flessibilità nella progettazione e rispondano alla crescente domanda di alloggi compatti nelle aree urbane, rimane centrale il rispetto dei requisiti igienico-sanitari e dell’adattabilità, per garantire il comfort abitativo.
In particolare, la riduzione delle superfici minime, da 28 m² a 20 m² per una persona, offre nuove opportunità per la costruzione di micro-appartamenti, che potranno comunque risultare confortevoli se progettati con attenzione ai dettagli, come la ventilazione naturale, l’illuminazione e la distribuzione degli spazi. La sfida sarà quindi trovare il giusto equilibrio tra spazio ridotto e vivibilità, un tema che continuerà a essere al centro del dibattito nel settore edilizio nei prossimi anni.
Queste modifiche alle normative porteranno sicuramente a un cambiamento nel modo di concepire gli spazi abitativi, ma sarà fondamentale valutare se riusciranno a mantenere alti standard di qualità della vita. Solo il tempo e la pratica sul campo potranno confermare se le nuove regole offriranno effettivamente il giusto compromesso tra esigenze economiche e comfort abitativo.
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