Il Bonus Prima Casa, la cui disciplina è regolamentata dal DPR n. 131 del 26 aprile 1986, alla Tariffa Parte 1 Articolo 1, Nota II-bis, è un’agevolazione che l’anno prossimo compirà trent’anni, in quanto appunto è stata introdotta per la prima volta dall’art. 16 del DL n. 155 del 22 maggio 1993.
Nello specifico, l’incentivo concede la possibilità di procedere con l’acquisto della Prima Casa di abitazione, beneficiando di una riduzione sul pagamento delle imposte relative al rogito definitivo. Attualmente, inoltre, fino al 31 dicembre 2022, i giovani fino a 35 anni possono beneficiare del Bonus Prima Casa under 36, che consente invece di acquistare la prima casa con il totale azzeramento delle imposte.
Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in riferimento ai casi in cui un contribuente proceda con la vendita della prima abitazione acquistata con le agevolazioni, per poi acquistare una nuova casa da adibire ad abitazione principale.
Viene fatto presente qui che, perché la vendita della prima casa possa risultare valida – al fine di continuare ad usufruire delle agevolazioni per l’acquisto di una seconda casa – è obbligatorio che il contribuente proceda con la stipula del contratto traslativo.
In mancanza di questo, la vendita non sarebbe ritenuta valida e il Bonus Prima Casa andrebbe a decadere.
Approfondiamo di seguito.
Sommario
Sin dalla sua nascita, il Bonus Prima Casa ha subìto col tempo diverse modifiche, che talvolta hanno comportato l’estensione delle rigide regole applicative.
Tra le modifiche più rilevanti c’è appunto quella introdotta dalla Legge di Bilancio 2016, che ha concesso la possibilità per i contribuenti di non perdere il beneficio prima casa qualora procedessero con la vendita dell’immobile al fine di acquistarne un secondo da adibire ad abitazione principale.
Si tratta di una disposizione che ammette la possibilità di derogare a molte delle regole stabilite per il Bonus Prima Casa, tra cui quelle che impongono:
Nello specifico, la Manovra 2016 ha disposto la possibilità per i contribuenti di evitare la decadenza dal Bonus Prima Casa (mantenendo quindi le agevolazioni di cui beneficiano), anche nel caso in cui dovessero vendere l’abitazione prima dei 5 anni dall’acquisto, ma solo qualora procedessero con l’acquisto di una seconda abitazione, che dev’essere poi adibita a Prima Casa in tutto il territorio italiano.
In particolare, è possibile beneficiare del Bonus Prima Casa per l’acquisto di una seconda abitazione solo in uno dei seguenti casi:
Nonostante le nuove regole introdotte dalla Manovra 2016 al Bonus Prima Casa siano ormai in vigore da anni, ancora oggi ci sono tantissimi casi in cui la normativa viene interpretata in maniera sbagliata, spesso anche da parte degli stessi giudici chiamati a valutarne le sentenze in merito.
Questo è accaduto di recente con l’Ordinanza della Cassazione n. 27000 del 14 settembre 2022 dove, come spesso succede, la Corte si è trovata a ribaltare l’esito delle sentenze errate che sono state sviluppate dai giudici di primo e secondo grado di giudizio.
La vicenda in questione ha inizio il 10 giugno 2009, data in cui il contribuente protagonista dell’ordinanza in oggetto usufruisce per la prima volta del Bonus Prima Casa per acquistare un immobile da adibire ad abitazione principale.
Successivamente, il 2 ottobre 2014, il contribuente provvedeva a conferire alla moglie mandato revocabile a vendere con clausola di “trasferimento fiduciario in adempimento del mandato” medesimo.
In sostanza, egli conferiva alla moglie il diritto a vendere l’abitazione per conto suo, sulla base del cosiddetto “contratto fiduciario”, secondo cui il fiduciante (in questo caso il marito) affida al fiduciario (la moglie) l’adempimento di amministrare il bene o di svolgere qualcosa in riferimento al bene di cui egli è proprietario.
In questo caso, il patto fiduciario riguardava appunto la prima casa acquistata con le agevolazioni, e con il mandato il marito autorizzava la moglie a procedere con la sua vendita.
Solo qualche settimana dopo, il 20 ottobre 2014, il contribuente provvedeva ad acquistare un nuovo immobile, ubicato nello stesso Comune del primo, sempre beneficiando del Bonus Prima Casa.
Advertisement - PubblicitàConferendo il mandato di trasferimento alla moglie e acquistando successivamente una seconda casa con le agevolazioni, il soggetto credeva erroneamente di aver rispettato le regole imposte dal bonus prima casa per i casi di riacquisto.
Tempo dopo però, l’Agenzia delle Entrate provvedeva a disporre la decadenza dalle agevolazioni ai danni del contribuente, accusandolo di aver beneficiato del bonus due volte per l’acquisto di due immobili situati all’interno dello stesso Comune.
Beneficiare del bonus la seconda volta infatti non è possibile se non si acquista la seconda casa entro 1 anno dalla vendita della prima. O, in alternativa, se non si vende la prima casa entro 1 anno dall’acquisto della seconda.
In seguito all’avviso del Fisco, il contribuente proponeva ricorso presso la CTP di Reggio Emilia che, in primo grado, dava ragione al soggetto. La stessa cosa è successa con i giudici di secondo grado della CTR Emilia Romagna in seguito al ricorso presentato dall’ufficio delle Entrate.
A cambiare tutto è stato però appunto il parere della Cassazione – fornito con l’Ordinanza del 14 settembre 2022 dopo un nuovo ricorso presentato dal Fisco – con cui alla fine i giudici hanno determinato la decadenza dalle agevolazioni ai danni del contribuente.
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Advertisement - PubblicitàLa Corte fa presente innanzitutto che la normativa legata al Bonus Prima Casa impone espressamente che, all’atto d’acquisto, il contribuente dichiari di “non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare”.
Tale dichiarazione è stata effettivamente resa all’atto d’acquisto da parte del soggetto. Il problema però è che non era veritiera, in quanto appunto egli era già titolare di un’altra abitazione acquistata con le agevolazioni e, tra l’altro, situata all’interno dello stesso Comune.
Il fatto che il soggetto abbia conferito alla moglie il mandato a vendere la prima abitazione infatti, non significa che egli abbia perso la titolarità dell’abitazione.
Difatti, si fa presente, il mandato a vendere “autorizza” il fiduciario ad occuparsi della vendita dell’abitazione, ma non ha effetto immediato di vendita.
Il punto era già stato chiarito con una passata sentenza della stessa Corte, la n. 5981 del 23 aprile 2001, dove si specificava che il mandato a vendere ha una funzione meramente obbligatoria.
Questo significa appunto che la sua utilità è esclusivamente quella di impegnare il mandatario a procedere con la vendita dell’immobile per conto del mandante. Ma in ogni caso, pur se dovesse essere accompagnato dal conferimento del potere rappresentativo, il mandato non determina mai l’effettivo trasferimento dell’immobile.
Perché la proprietà dell’immobile venga realmente trasferita, così da non risultare più di proprietà del mandante, è necessario che l’obbligo venga realizzato con la vendita definitiva dell’immobile, che può essere ufficializzata solo mediante un contratto traslativo (che ha efficacia reale e non obbligatoria).
In conclusione, avendo il contribuente acquistato un secondo immobile con il Bonus Prima Casa, senza aver realmente venduto la prima casa agevolata, la Cassazione determina la decadenza dal beneficio, condannando il contribuente al pagamento delle imposte legate all’incentivo, con relativi interessi e sanzioni, nonché a rifondere le spese processuali alle Entrate.
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