Una sentenza del Consiglio di Stato conferma l’importanza della demolizione come misura obbligatoria per tutelare le aree vincolate da abusi edilizi, ribadendo il valore prioritario della salvaguardia paesaggistica.
La tutela del paesaggio è uno dei principi cardine del nostro ordinamento, soprattutto in aree sottoposte a vincoli ambientali. Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha affrontato il caso di una chiusura abusiva realizzata su un immobile commerciale in un’area vincolata del Comune di Pozzuoli.
L’intervento, che comprendeva l’installazione di inferriate e serrande senza le dovute autorizzazioni, è stato giudicato illegittimo, con conseguente ordine di demolizione.
Vediamo il caso nel dettaglio.
Advertisement - PubblicitàLa vicenda nasce da interventi edilizi realizzati su un immobile commerciale situato nel Comune di Pozzuoli, in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico dal 1957. Le opere, realizzate senza il necessario titolo abilitativo, includevano l’installazione di inferriate in ferro, serrande avvolgibili su più lati dell’edificio e tende da sole. Sebbene tali interventi possano sembrare di modesta entità, la loro esecuzione ha comportato una trasformazione significativa dell’aspetto del luogo.
Le normative vigenti, infatti, prevedono che qualsiasi opera in aree vincolate debba essere autorizzata, per garantire la tutela del paesaggio e prevenire abusi.
Il Comune di Pozzuoli, accertata la mancanza delle autorizzazioni, ha emesso un’ordinanza di demolizione, contestando l’illegittimità degli interventi. In risposta, la parte coinvolta aveva presentato un’istanza di sanatoria ai sensi del D.P.R. 380/2001 e del d.lgs 42/2004, sostenendo che le opere fossero pertinenziali e non soggette al regime autorizzativo più restrittivo.
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Tuttavia, la domanda non è stata accolta, poiché il vincolo paesaggistico impone obblighi stringenti e non ammette margini di tolleranza per opere non previamente autorizzate.
Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) aveva già respinto il ricorso contro l’ordinanza di demolizione, evidenziando che non era stata fornita prova dell’avvenuta presentazione di un’effettiva istanza di sanatoria. Successivamente, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione, dichiarando che in tali circostanze la demolizione rappresenta un atto dovuto per ripristinare lo stato dei luoghi e salvaguardare il paesaggio.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza n. 6697/2024, pronunciata dal Consiglio di Stato il 10 dicembre 2024, ha messo un punto fermo su una vicenda complessa relativa agli abusi edilizi in aree soggette a vincolo paesaggistico. La decisione, emessa dalla Sezione Sesta e riportata dal collegio presieduto dal Cons. Sergio De Felice, ha respinto l’appello contro la precedente pronuncia del TAR Campania.
Al centro della questione vi era l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Pozzuoli, che disponeva il ripristino dello stato dei luoghi per una serie di opere realizzate in assenza dei necessari titoli edilizi e paesaggistici.
I giudici hanno evidenziato che le opere abusive – inferriate, serrande avvolgibili e tende da sole – non erano soltanto modifiche marginali, ma interventi che, per dimensioni e impatto visivo, comportavano una trasformazione significativa e duratura dell’area vincolata. Basandosi su una giurisprudenza consolidata, tra cui la sentenza n. 62/2013 e l’adunanza plenaria n. 9/2017 del Consiglio di Stato, la Corte ha stabilito che l’ordine di demolizione, in situazioni di questo tipo, non richiede una motivazione specifica sull’interesse pubblico, essendo l’obbligo di tutela del paesaggio prevalente e vincolante.
Un aspetto cruciale della decisione è stata la conferma che, in presenza di vincoli paesaggistici, la mancanza di un’autorizzazione preventiva rende impossibile ogni ipotesi di regolarizzazione o sanatoria successiva. La norma di riferimento, l’art. 27, comma 2, del D.P.R. 380/2001, conferisce all’amministrazione comunale un potere-dovere di vigilanza, imponendo l’adozione di provvedimenti repressivi anche in caso di opere apparentemente assentibili con strumenti come la DIA, se prive di autorizzazione paesaggistica.
Infine, il Consiglio di Stato ha chiarito che il ritardo nell’adozione del provvedimento demolitorio non incide sulla sua legittimità, in quanto l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio rimane prioritario. La sentenza si è conclusa con la condanna della parte ricorrente al pagamento di 3.000 euro di spese processuali, un ulteriore segnale della fermezza con cui la Corte intende tutelare il rispetto delle norme edilizie e paesaggistiche.
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