La recente sentenza del TAR Piemonte n. 459/2025 ha acceso i riflettori su una questione di grande rilevanza nel settore edilizio: la difficoltà di ottenere una sanatoria edilizia quando un intervento viene realizzato in difformità rispetto al titolo autorizzativo e ricade in un’area soggetta a vincoli paesaggistici.

Il caso in esame riguarda una società che ha chiesto al Comune di Torino l’accertamento di compatibilità paesaggistica per un intervento di demolizione e ricostruzione di una tettoia modificata rispetto al progetto approvato.

Nonostante il parere favorevole della Soprintendenza, il Comune ha respinto l’istanza, ritenendo che l’intervento costituisse una nuova costruzione con incremento di volumetria e superficie utile, e quindi non sanabile ai sensi della normativa vigente.

Nel corso del giudizio, il difensore della società ha cercato di ottenere un rinvio della causa, facendo leva sulle recenti modifiche introdotte con il cosiddetto decreto “Salva Casa”. Questa nuova normativa, in alcuni casi, permette la sanatoria anche per interventi che abbiano comportato aumenti volumetrici, superando i limiti previsti dalla precedente disciplina.

Tuttavia, il TAR ha respinto la richiesta di rinvio, ritenendo che la società non avesse ancora formalmente presentato una nuova istanza di sanatoria sulla base delle nuove disposizioni legislative.

Ma quali sono le ragioni specifiche alla base del diniego? E quali implicazioni ha questa sentenza per chiunque voglia regolarizzare opere edilizie realizzate senza le necessarie autorizzazioni?

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Il contesto del caso

La vicenda prende avvio quando una società, proprietaria di un immobile situato a Torino, presenta al Comune una richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica per un intervento edilizio già eseguito. L’opera riguardava la demolizione e ricostruzione di una tettoia, precedentemente condonata ai sensi della Legge 47/1985, e destinata a copertura di un’area esterna.

Il permesso di costruire rilasciato nel 2008 autorizzava esclusivamente il rifacimento della copertura, che prevedeva la sostituzione delle lastre di eternit con una nuova copertura in coppi, oltre al rinforzo dei pali verticali in legno con l’aggiunta di putrelle metalliche a “C”. Tuttavia, nel corso dell’esecuzione dei lavori, la società ha riscontrato un grave deterioramento strutturale dei pali in legno, ritenendoli non più idonei a sostenere la copertura.

Di conseguenza, ha deciso di rimuovere completamente i pali in legno e sostituirli con pilastri in acciaio, modificando quindi l’assetto statico e architettonico dell’intervento.

Questa variazione ha avuto due effetti significativi:

  • Una modifica strutturale rilevante, che ha portato il Comune a considerare l’intervento una “nuova costruzione” ai sensi dell’art. 3, lett. e, del D.P.R. 380/2001.
  • Un presunto incremento di volume e superficie utile, che ha reso l’opera non sanabile secondo la normativa vigente sulla compatibilità paesaggistica (art. 181, comma 1-ter, del D. Lgs. 42/2004).

Sebbene la Soprintendenza abbia espresso parere favorevole alla sanatoria con la sola prescrizione di tinteggiare la struttura metallica per migliorarne l’inserimento paesaggistico, il Comune ha comunque negato la richiesta, sostenendo che l’intervento eccedesse i limiti previsti per le sanatorie in area vincolata.

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Il ricorso al TAR e la posizione del Comune

A seguito del diniego del Comune, la società ha deciso di impugnare il provvedimento davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Piemonte, sostenendo che l’intervento realizzato non costituiva una nuova costruzione, ma rientrava in un’operazione di manutenzione straordinaria della struttura preesistente.

Secondo la ricorrente, la sostituzione dei pali in legno con pilastri in acciaio era necessaria per garantire la sicurezza dell’opera e non aveva comportato un aumento di volumetria o di superficie utile rispetto alla tettoia originaria.

Nel ricorso, la società ha contestato il diniego del Comune per diversi motivi, tra cui:

  • Violazione dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001, sostenendo che l’intervento non fosse una nuova costruzione, ma una mera sostituzione di elementi strutturali.
  • Erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, affermando che il Comune aveva adottato un’interpretazione troppo restrittiva della normativa urbanistica e paesaggistica.
  • Contraddittorietà del diniego, in quanto la stessa Soprintendenza aveva espresso parere favorevole, con una prescrizione facilmente attuabile (la tinteggiatura dei pilastri).

Di contro, il Comune di Torino si è costituito in giudizio sostenendo la legittimità del diniego, evidenziando che:

  • La stessa società aveva presentato due istanze di sanatoria, una per la compatibilità paesaggistica e una per il permesso di costruire in sanatoria, ammettendo quindi la difformità dell’opera rispetto al progetto autorizzato.
  • Il Comune ha ritenuto che l’intervento non fosse riconducibile a una semplice manutenzione straordinaria, bensì a una nuova costruzione, vietata dalle normative urbanistiche vigenti nella zona in cui si trova l’immobile.
  • La realizzazione dell’opera aveva determinato un incremento di volume e superficie utile, aspetto che, secondo l’amministrazione, precludeva la possibilità di accedere alla sanatoria ai sensi dell’art. 181, comma 1-ter, del D. Lgs. 42/2004.

Il TAR, dopo aver esaminato le posizioni delle parti, si è soffermato su un aspetto cruciale che ha determinato l’esito della causa: la mancata impugnazione del diniego del permesso di costruire in sanatoria.

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Il nodo centrale: la mancata impugnazione del diniego di sanatoria edilizia

Uno degli elementi chiave che ha portato il TAR a dichiarare inammissibile il ricorso è stata la mancata impugnazione da parte della società del diniego del permesso di costruire in sanatoria.

Infatti, parallelamente alla richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica, la società aveva presentato una domanda di sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001, che è stata respinta dal Comune con un provvedimento separato il 16 marzo 2020. Tuttavia, mentre la società ha contestato il diniego della compatibilità paesaggistica, non ha impugnato il diniego del permesso di costruire in sanatoria, lasciando che quel provvedimento diventasse definitivo e inoppugnabile.

Il TAR ha chiarito che, secondo la giurisprudenza amministrativa, la compatibilità paesaggistica è una condizione necessaria, ma non sufficiente per ottenere la sanatoria edilizia.

In altre parole:

  • Se un’opera è dichiarata non compatibile dal punto di vista paesaggistico, non può essere sanata dal punto di vista edilizio.
  • Ma anche se un’opera è compatibile paesaggisticamente, ciò non significa automaticamente che sia sanabile dal punto di vista urbanistico-edilizio.

Nel caso specifico, il diniego del permesso di costruire in sanatoria non si basava esclusivamente sul mancato accertamento della compatibilità paesaggistica, ma anche su altre motivazioni legate alla normativa urbanistica locale. Il TAR ha quindi sottolineato che la società avrebbe dovuto contestare entrambi i provvedimenti, perché il solo annullamento del diniego della compatibilità paesaggistica non avrebbe avuto alcun effetto sulla possibilità di sanare l’opera sotto il profilo edilizio.

Poiché il diniego della sanatoria edilizia è diventato definitivo, il ricorso per la compatibilità paesaggistica ha perso di interesse, rendendo inevitabile la dichiarazione di inammissibilità da parte del TAR.

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Le nuove prospettive con il decreto “Salva Casa”

Durante il processo, il difensore della società ha tentato di ottenere un rinvio della causa, facendo riferimento alle recenti modifiche normative introdotte con il cosiddetto decreto “Salva Casa”. Questo decreto ha inserito nel D.P.R. 380/2001 l’art. 36-bis, che potrebbe offrire nuove possibilità di sanatoria anche per interventi che abbiano comportato un incremento di volume o superficie utile.

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Tuttavia, il TAR ha respinto la richiesta di rinvio, sottolineando che:

  • La società non aveva ancora presentato una nuova istanza di sanatoria sulla base della normativa aggiornata.
  • Un’eventuale richiesta di sanatoria ex art. 36-bis avrebbe potuto essere valutata dal Comune in un nuovo procedimento, ma non avrebbe avuto alcuna influenza sul ricorso in corso.
  • La nuova norma permette la sanatoria solo in specifiche condizioni, che andrebbero comunque verificate caso per caso.

Questo aspetto è particolarmente interessante perché dimostra come l’evoluzione normativa possa aprire nuove possibilità, ma solo se le richieste sono presentate in modo corretto e tempestivo.

Per chi si trova in situazioni simili, la lezione da trarre è che le modifiche legislative possono offrire nuove strade per la sanatoria, ma è necessario agire tempestivamente e nel rispetto delle procedure legali.