Il Consiglio di Stato ha recentemente affrontando il tema delle opere edilizie realizzate con un permesso di costruire decaduto. La vicenda riguarda una disputa tra un privato cittadino, una società immobiliare e il Comune di Sorrento, in merito all’ordine di demolizione di alcune opere e all’acquisizione gratuita di un’area nel patrimonio comunale.

La decisione del Consiglio di Stato, che accoglie in parte i ricorsi presentati, chiarisce importanti principi sulla gestione delle costruzioni incomplete e sulle responsabilità dei proprietari in caso di decadenza del titolo edilizio.

Quali sono le conseguenze di questa sentenza per chi realizza opere che poi non vengono completate? In quali casi è legittima l’acquisizione di un’area da parte del Comune?

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Il caso giudiziario: cosa è accaduto?

La controversia ha avuto inizio quando un privato cittadino ha ottenuto un permesso di costruire per la realizzazione di un’opera edilizia su un terreno di sua proprietà a Sorrento. Tuttavia, nel corso del tempo, il titolo edilizio è decaduto per mancata realizzazione dell’opera nei tempi stabiliti, come stabilito da un atto formale del Comune in data 22 novembre 2016.

Questo ha reso prive di validità tutte le opere eseguite fino a quel momento.

Le opere realizzate consistevano principalmente in scavi, pali di fondazione e predisposizioni per una struttura interrata, senza tuttavia raggiungere un livello di completamento tale da renderle autonome e funzionali. A seguito della decadenza del permesso di costruire, il Comune ha ritenuto che tali opere fossero in totale difformità rispetto alla normativa urbanistica vigente e ha quindi emesso due provvedimenti:

  • Un’ordinanza di demolizione, con la quale si imponeva la rimozione delle opere eseguite e il ripristino dello stato originario dei luoghi.
  • Un’ordinanza di acquisizione gratuita dell’area al patrimonio comunale, ritenendo che la decadenza del permesso e l’incompiutezza dei lavori giustificassero l’acquisizione dell’intera particella catastale.

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I proprietari e la società immobiliare coinvolta hanno impugnato questi provvedimenti, contestando la loro proporzionalità e sostenendo che l’intervento avrebbe potuto essere completato con un nuovo progetto edilizio. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha sottolineato che i ricorrenti non avevano impugnato il provvedimento di decadenza del permesso di costruire, rendendo definitiva la sua efficacia.

Questo ha impedito loro di ottenere un nuovo titolo edilizio o di sanare l’intervento tramite una richiesta di conformità urbanistica.

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania, in primo grado, aveva dato ragione al Comune, confermando la legittimità degli atti impugnati. Non soddisfatti della decisione, i ricorrenti hanno presentato appello al Consiglio di Stato, sollevando diverse questioni giuridiche, tra cui:

  • La presunta sproporzione dell’acquisizione dell’intera particella, rispetto alle sole opere effettivamente realizzate.
  • La possibilità di sanare l’intervento tramite un nuovo permesso edilizio.
  • La corretta interpretazione della normativa sulle costruzioni incomplete a seguito della decadenza del titolo edilizio.

Per risolvere il caso, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario un intervento dell’Adunanza Plenaria, chiamata a chiarire un importante principio di diritto: quale disciplina si applica alle opere edilizie realizzate in base a un permesso di costruire decaduto e mai completate?

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La decisione dell’adunanza plenaria: i principi stabiliti

Per risolvere il nodo giuridico sollevato dal caso, il Consiglio di Stato ha sottoposto all’Adunanza Plenaria una questione chiave: quale disciplina si applica alle opere edilizie realizzate solo in parte, in base a un permesso di costruire decaduto?

Con la decisione n. 14/2024, l’Adunanza Plenaria ha fornito una risposta chiara, stabilendo una distinzione fondamentale tra due tipologie di opere incomplete:

  • Opere incomplete prive di autonomia e funzionalità – Se i lavori eseguiti non costituiscono un organismo edilizio autonomamente utilizzabile, il Comune ha il dovere di ordinarne la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi. Questo principio si applica, ad esempio, quando sono stati realizzati solo scavi, pali di fondazione, strutture portanti prive di tamponature o edifici incompleti che non possono essere usati senza ulteriori interventi edilizi.
  • Opere incomplete ma funzionalmente autonome – Se l’intervento edilizio, anche se non terminato, ha raggiunto uno stato di avanzamento tale da poter essere considerato autonomamente fruibile (ad esempio, una villetta quasi completata, in cui mancano solo finiture interne), allora l’opera potrebbe essere mantenuta, a condizione che il proprietario ottenga un nuovo titolo abilitativo o l’accertamento di conformità urbanistica.

L’Adunanza Plenaria ha inoltre chiarito che, in caso di opere prive di autonomia funzionale, il Comune deve applicare l’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), che impone la demolizione e la sanzione della perdita della proprietà dell’area di sedime a favore dell’amministrazione.

Tuttavia, l’eventuale acquisizione di una porzione di terreno più ampia dell’area strettamente interessata dai lavori abusivi deve essere adeguatamente motivata, per evitare misure eccessivamente punitive nei confronti dei privati.

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Questa pronuncia ha dunque fissato un principio di equilibrio tra la necessità di contrastare gli abusi edilizi e il diritto dei proprietari a conservare quanto legittimamente realizzato, introducendo criteri chiari per stabilire quando è possibile sanare un’opera e quando invece è obbligatoria la demolizione.

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Le motivazioni del consiglio di stato

Alla luce dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato ha esaminato il caso specifico e, con la sentenza n° 970/2025, ha deciso di accogliere solo in parte i ricorsi presentati dal privato e dalla società immobiliare.

Conferma dell’obbligo di demolizione

Il Consiglio di Stato ha stabilito che le opere realizzate – consistenti principalmente in scavi, pali di fondazione e livellamenti del terreno – non erano autonome né funzionali e, pertanto, rientravano tra quelle che devono essere rimosse secondo l’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia.

Non si trattava, infatti, di un edificio quasi completato, ma solo di opere preliminari che non potevano costituire un vero e proprio organismo edilizio.

Di conseguenza, l’ordine di demolizione emesso dal Comune di Sorrento è stato ritenuto legittimo. Il privato e la società non potevano opporsi a tale provvedimento sostenendo che l’opera fosse recuperabile con un nuovo permesso di costruire, perché la normativa non consente di mantenere strutture prive di autonomia funzionale dopo la decadenza del titolo edilizio.

Annullamento parziale dell’acquisizione gratuita

Un altro punto chiave della sentenza riguarda l’acquisizione gratuita dell’area al patrimonio comunale. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto che il Comune non aveva adeguatamente motivato l’acquisizione dell’intera particella catastale, che misurava circa 3.236 mq, mentre le opere realizzate interessavano solo una superficie di circa 1.900 mq.

Secondo la giurisprudenza consolidata, quando un Comune acquisisce un’area in seguito a un abuso edilizio, può farlo solo nei limiti strettamente necessari al ripristino della legalità urbanistica. Nel caso in esame, l’amministrazione non aveva spiegato perché fosse necessario acquisire tutta la particella e non solo la porzione direttamente coinvolta dalle opere abusive.

Per questo motivo, il Consiglio di Stato ha annullato l’ordinanza di acquisizione limitatamente alla parte di terreno non interessata dai lavori, lasciando aperta la possibilità per il Comune di riesaminare la questione e motivare meglio un’eventuale nuova acquisizione.

Esclusione dello status di “proprietario incolpevole”

Un altro punto importante della decisione riguarda la posizione del proprietario del terreno, che aveva cercato di dimostrare la propria estraneità all’abuso edilizio. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha respinto questa difesa, sottolineando che:

  • Il proprietario aveva trasferito solo la detenzione del bene alla società immobiliare, ma non la proprietà effettiva.
  • L’impresa immobiliare agiva come sua procuratrice e aveva avviato i lavori in suo nome e per suo conto.
  • Il proprietario non aveva compiuto alcun atto concreto per impedire l’abuso o per contrastare la decadenza del permesso di costruire.

Secondo la giurisprudenza, affinché un proprietario possa essere considerato “incolpevole” e quindi esentato dalle sanzioni urbanistiche, deve dimostrare di essere totalmente estraneo all’abuso e di aver fatto il possibile per evitarlo. Nel caso in questione, ciò non è avvenuto, e di conseguenza il privato è stato ritenuto responsabile, almeno in parte, della situazione.