Le costruzioni abusive rappresentano una delle problematiche più complesse nel diritto urbanistico. Le normative vigenti prevedono sanzioni severe per chi realizza edifici senza permessi o in difformità dai titoli abilitativi.

Una recente sentenza del TAR Lazio ha confermato la demolizione di un immobile realizzato in maniera difforme rispetto ai permessi edilizi originari, chiarendo in quali casi una variazione rispetto al progetto autorizzato può essere considerata una “totale difformità” e quindi comportare l’obbligo di demolizione.

La sentenza si inserisce in un contesto normativo in continua evoluzione: il cosiddetto “Decreto Salva Casa”, introdotto nel 2024, ha modificato alcuni aspetti della sanatoria edilizia, permettendo la regolarizzazione di alcune difformità minori.

Tuttavia, il TAR ha precisato che tali disposizioni non si applicano nei casi di abusi gravi o in presenza di vincoli ambientali e paesaggistici, come quello idrogeologico.

Quando una costruzione può essere regolarizzata e quando, invece, è destinata alla demolizione? Qual è l’impatto dei vincoli paesaggistici e ambientali sulle sanzioni edilizie? Il Decreto Salva Casa può davvero risolvere il problema degli abusi edilizi?

Continua a leggere per scoprire come il TAR ha risolto questa controversia.

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Il caso in esame: l’ordinanza di demolizione e il ricorso

La vicenda nasce dall’ordinanza di demolizione emessa da un Comune, che contestava la realizzazione abusiva di diverse opere edilizie su un terreno privato. Tra queste, oltre a manufatti minori, spiccava una villa unifamiliare costruita in un’area diversa rispetto a quella prevista dal titolo edilizio originario.

Secondo l’amministrazione, la posizione dell’edificio risultava completamente traslata di circa 39 metri rispetto alla planimetria autorizzata, senza alcuna sovrapposizione con la sagoma approvata.

Questa alterazione veniva qualificata come “totale difformità”, giustificando così l’ordine di demolizione.

Il proprietario dell’immobile ha impugnato l’ordinanza davanti al TAR, sostenendo che l’intervento non poteva essere considerato un abuso edilizio di tale gravità. Egli ha infatti evidenziato che la villa era stata costruita in base a un regolare titolo edilizio, seppur con una collocazione leggermente differente rispetto a quella originaria. A suo dire, questa circostanza avrebbe dovuto ricadere nella disciplina delle variazioni essenziali, che prevedono sanzioni meno drastiche rispetto alla demolizione.

Inoltre, il ricorrente ha sottolineato di aver già provveduto spontaneamente alla rimozione di altre opere minori contestate, segno della sua volontà di conformarsi alle normative.

Un altro punto chiave del ricorso riguardava l’assenza di una comunicazione preventiva da parte del Comune prima di emettere l’ordinanza di demolizione. Il proprietario riteneva che, se fosse stato informato in anticipo, avrebbe potuto chiarire la situazione ed evitare il provvedimento.

Infine, il ricorrente ha sollevato anche la questione del legittimo affidamento, sostenendo che il lungo periodo trascorso dalla costruzione dell’immobile all’ordine di demolizione avrebbe generato la convinzione di trovarsi in una posizione regolare, rendendo quindi illegittima la sanzione.

Nonostante questi argomenti, l’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio, lasciando che fosse il TAR a valutare la fondatezza delle contestazioni. Il Tribunale ha dunque esaminato attentamente la questione, ponendo particolare attenzione alla distinzione tra variazioni essenziali e totale difformità, nonché al ruolo dei vincoli urbanistici nella determinazione delle sanzioni.

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La decisione del TAR Lazio: un abuso edilizio “in totale difformità”

Dopo aver esaminato le argomentazioni del ricorrente, il TAR Lazio con la sentenza n° 5211/2025 ha respinto il ricorso, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione. La motivazione principale risiedeva nel fatto che la traslazione dell’edificio di 39 metri rispetto alla posizione autorizzata non potesse essere considerata una semplice variazione essenziale, ma una totale difformità dal titolo edilizio.

Il tribunale ha chiarito che, secondo la normativa urbanistica vigente, la modifica della localizzazione di un immobile può rientrare nelle variazioni essenziali solo se vi è una parziale sovrapposizione tra la nuova e la vecchia sagoma dell’edificio.

Nel caso in esame, questa condizione era del tutto assente: il fabbricato risultava spostato interamente in una nuova posizione, senza alcuna corrispondenza con il progetto autorizzato. Pertanto, ai sensi dell’articolo 32 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001), l’intervento doveva essere qualificato come un abuso edilizio grave, con conseguente obbligo di demolizione.

Un altro aspetto determinante nella decisione del TAR è stato il vincolo idrogeologico presente nell’area in cui sorgeva l’immobile. La giurisprudenza è chiara nel ritenere che gli abusi edilizi commessi in zone soggette a particolari vincoli ambientali o paesaggistici non possano beneficiare di sanzioni alternative alla demolizione.

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In questo caso, lo spostamento dell’edificio era avvenuto senza ottenere il nulla osta per il vincolo idrogeologico, già in vigore nel Comune dal 1972. Questo elemento ha rafforzato la posizione dell’amministrazione, in quanto la nuova localizzazione dell’immobile avrebbe potuto comportare rischi di dissesto idrogeologico, che non erano stati valutati né autorizzati dalle autorità competenti.

Il TAR ha anche escluso la fondatezza delle altre motivazioni del ricorrente. In particolare:

  • Mancata comunicazione di avvio del procedimento: il tribunale ha ribadito che, trattandosi di un’ordinanza di demolizione per abuso edilizio, non era necessaria una preventiva comunicazione al proprietario. Le demolizioni di opere abusive sono considerate atti dovuti, privi di margini di discrezionalità per l’amministrazione, e pertanto non soggetti a contraddittorio preventivo.
  • Principio del legittimo affidamento: il semplice trascorrere del tempo non può sanare un abuso edilizio, a meno che non vi sia un atto formale dell’amministrazione che riconosca la regolarità dell’opera. Nel caso in questione, l’ordinanza di demolizione era perfettamente legittima, anche se l’intervento abusivo risaliva a diversi anni prima.

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Infine, il TAR ha chiarito che il cosiddetto Decreto Salva Casa, introdotto nel 2024, non era applicabile in questo caso. Sebbene il decreto preveda misure di sanatoria per alcune difformità minori, esso non si estende agli abusi gravi, come lo spostamento integrale di un edificio in area vincolata.

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Il passare del tempo e sanzioni edilizie: il punto della giurisprudenza

Uno degli argomenti principali del ricorso era il principio del legittimo affidamento, secondo cui, se un’amministrazione pubblica non interviene per lungo tempo, un cittadino potrebbe ritenere che la sua situazione sia regolare. Il ricorrente sosteneva che, essendo trascorsi molti anni dalla costruzione, l’ordine di demolizione fosse ormai ingiustificato.

Tuttavia, il TAR ha ribadito un principio consolidato: il semplice trascorrere del tempo non rende legittima un’opera abusiva. L’assenza di controlli da parte del Comune non equivale a un’autorizzazione tacita. Un abuso edilizio può essere contestato e sanzionato anche dopo molti anni, soprattutto se riguarda aree vincolate.

Inoltre, il tribunale ha escluso la possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, poiché l’abuso era stato classificato come totale difformità, per la quale la legge prevede l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi.