Può sembrare incredibile, ma a volte una semplice canna fumaria può trasformarsi in una questione di sicurezza pubblica. È quello che è accaduto in un condominio di Aversa, dove un termocamino, collegato a una canna fumaria installata nel vano ascensore, ha generato surriscaldamenti tali da rendere inutilizzabile l’impianto e da destare preoccupazioni per la sicurezza antincendio.

I Vigili del Fuoco sono intervenuti più volte, certificando la pericolosità della situazione, e il Comune ha emesso un’ordinanza per mettere in sicurezza l’immobile. Ma dopo l’ordinanza? Il silenzio.

Quando l’amministrazione non agisce, quali strumenti ha a disposizione un cittadino per difendere la propria sicurezza e i propri diritti? È possibile costringere un Comune a far rispettare le sue stesse ordinanze? E cosa succede se continua a restare inerte?

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La vicenda: quando una canna fumaria mette a rischio la sicurezza

Tutto ha avuto inizio con un problema concreto e tangibile: il surriscaldamento del muro di una cucina in un appartamento all’ultimo piano di un condominio. La causa? Una canna fumaria collegata a un termocamino installato nel locale macchine dell’ascensore.

I Vigili del Fuoco, intervenuti per un’ispezione, hanno rilevato il passaggio irregolare della canna attraverso il vano corsa dell’ascensore, una condizione vietata dalle norme sulla sicurezza antincendio (come il D.M. 16 maggio 1987 n. 246 e il D.P.R. 30 aprile 1999 n. 162).

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Il locale risultava talmente surriscaldato da provocare un pericoloso innalzamento della temperatura nelle pareti confinanti con l’abitazione. L’ente di certificazione preposto ha dunque inibito l’uso dell’ascensore, ritenendolo non sicuro per i condomini. Il quadro che si è delineato era chiaro: l’installazione violava più norme di sicurezza e rappresentava un rischio concreto per l’incolumità pubblica e privata.

Eppure, nonostante tutto ciò, l’ordinanza emessa dal Comune per regolarizzare la situazione è rimasta lettera morta. Nessun intervento effettivo è stato realizzato da chi doveva ottemperare all’obbligo. La conseguenza? Un’ulteriore diffida da parte della condomina danneggiata e, infine, un ricorso al TAR per denunciare il silenzio colpevole dell’amministrazione.

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Il silenzio dell’amministrazione e l’obbligo di agire

Nonostante l’evidenza della pericolosità, certificata da più enti tecnici e dai Vigili del Fuoco, e nonostante un’ordinanza sindacale chiarissima, il Comune ha scelto di non intervenire. Nessuna risposta alla diffida inviata dalla residente, nessuna iniziativa per far eseguire l’ordinanza.

In termini giuridici, si parla di “silenzio inadempimento”, una situazione in cui la pubblica amministrazione, pur essendo obbligata a concludere un procedimento avviato su istanza del cittadino, resta inattiva senza fornire spiegazioni o adottare provvedimenti.

Eppure, la legge non lascia spazi all’ambiguità. L’art. 2 della legge 241/1990 impone alle amministrazioni pubbliche di concludere i procedimenti amministrativi con un provvedimento espresso, anche in presenza di una valutazione negativa dell’istanza. Il silenzio, in questo contesto, non rappresenta un’opzione legittima, ma costituisce una violazione del dovere di agire, di rispondere e di tutelare l’interesse pubblico.

Il problema, però, non è solo giuridico. È anche profondamente pratico: nel frattempo, l’ascensore del condominio è rimasto inutilizzabile, e la canna fumaria pericolosa è rimasta lì, esattamente dove non dovrebbe stare. La persona coinvolta ha visto compromessa la sicurezza della propria casa e la qualità della propria vita. Non ottenere nemmeno una risposta, di fronte a un rischio del genere, non è solo frustrante: è inaccettabile.

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La giustizia amministrativa, in questi casi, rappresenta spesso l’unica via per richiamare l’amministrazione ai propri doveri. Ed è esattamente ciò che è avvenuto: un ricorso al TAR per chiedere che il Comune fosse costretto ad agire.

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La sentenza del TAR Campania: diritti e doveri messi nero su bianco

Con la sentenza n. 2697 del 2025, il TAR Campania ha riconosciuto pienamente le ragioni della cittadina, sancendo in modo chiaro che il Comune non poteva restare inerte. Il Tribunale ha stabilito che l’ordinanza sindacale era legittima, urgente e fondata su un concreto rischio per la sicurezza, e che il Comune era tenuto a eseguirla d’ufficio, anche senza ulteriori sollecitazioni da parte della cittadina.

In particolare, il TAR ha ribadito due principi fondamentali:

  1. Il silenzio del Comune, a fronte della diffida e dell’inerzia dell’obbligato, costituisce una violazione dell’art. 54 del TUEL;
  2. L’amministrazione ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 2 della legge 241/1990, di concludere con un atto espresso qualsiasi procedimento avviato da un cittadino, specialmente se riguarda la sicurezza pubblica.

Secondo i giudici, non si trattava affatto di una controversia condominiale – come sostenuto dalle controparti – bensì di una questione di sicurezza urbana, rientrante pienamente nei poteri del Sindaco. Inoltre, il TAR ha chiarito che, in caso di ulteriore inadempienza da parte del Comune, interverrà un commissario ad acta: il Prefetto di Caserta, con facoltà di delega a un proprio funzionario. Un messaggio forte: l’amministrazione non può sottrarsi ai propri doveri.

Il ricorso, quindi, è stato accolto, ma le spese di giudizio sono state compensate, forse in ragione della particolare complessità della vicenda. Resta, però, un precedente importante, che mette nero su bianco un principio fondamentale: l’incolumità delle persone viene prima di tutto.

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L’art. 54 del TUEL e l’esecuzione in danno

Quando si parla di ordinanze sindacali “contingibili e urgenti”, come quella emessa dal Comune di Aversa per imporre la regolarizzazione della canna fumaria, ci si riferisce a provvedimenti adottati per fronteggiare situazioni che rappresentano un pericolo concreto e immediato per l’incolumità pubblica. A stabilirne la legittimità è l’articolo 54 del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), che attribuisce al Sindaco poteri straordinari in situazioni di emergenza.

Ma cosa accade se chi riceve l’ordinanza non la rispetta?

La risposta è contenuta nel comma 7 dello stesso articolo, che stabilisce che, in caso di inottemperanza da parte del destinatario, il Sindaco può (e deve) procedere “d’ufficio a spese degli interessati”, cioè attivare un’esecuzione forzata a carico del soggetto inadempiente.

Questo strumento è fondamentale per garantire che le ordinanze non restino meri pezzi di carta, ma si traducano in azioni concrete, soprattutto quando in gioco ci sono questioni di sicurezza.

Nel caso esaminato dal TAR Campania, era evidente che tutte le condizioni previste dall’art. 54 erano presenti: l’ordinanza era stata regolarmente notificata, il pericolo era stato certificato da tecnici e Vigili del Fuoco, e l’inottemperanza era stata formalmente accertata dalla Polizia Municipale. Nonostante ciò, l’amministrazione comunale ha omesso qualsiasi azione esecutiva, lasciando la cittadina esposta a un rischio che la legge imponeva di rimuovere.

Questa inerzia non solo viola la norma, ma mina alla base la funzione dell’ordinanza urgente stessa, svuotandola di efficacia. Ed è proprio su questo punto che il TAR ha costruito uno dei pilastri della sua sentenza: il Comune aveva l’obbligo giuridico e non una semplice facoltà di dare esecuzione all’ordinanza in danno del soggetto inadempiente.