La recente sentenza del TAR del Lazio ha riportato l’attenzione su una questione centrale e spesso sottovalutata nel campo dell’edilizia: la responsabilità per abusi edilizi ricade sull’attuale proprietario, indipendentemente da chi abbia materialmente realizzato l’opera contestata.
Il caso riguardava un’ordinanza di demolizione emessa dal Comune nei confronti di un immobile costruito senza autorizzazioni valide, ma con la particolarità che gli attuali proprietari non erano gli autori dell’abuso, avendo acquistato il bene successivamente.
Questo principio, confermato dalla giurisprudenza, può avere conseguenze gravi per chi decide di acquistare immobili senza verificare attentamente la loro regolarità urbanistica.
Ma quali sono i rischi concreti per gli acquirenti? Come ci si può tutelare da queste problematiche?
Scopriamo nel dettaglio cosa ha stabilito il tribunale e come evitare di incorrere in situazioni simili.
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Sommario
Il caso in esame nasce da un’ordinanza di demolizione emessa dal Comune nei confronti dei proprietari di un immobile situato nel territorio del Comune di Fonte Nuova. Secondo l’amministrazione comunale, i proprietari avrebbero realizzato, senza alcun titolo edilizio, un fabbricato composto da due unità adiacenti, una destinata a deposito e l’altra a locale abitativo, con una volumetria complessiva di circa 161 metri cubi.
Questa nuova costruzione è stata giudicata abusiva in quanto non conforme né alla licenza edilizia originale rilasciata negli anni ’70, né alla successiva sanatoria degli anni ’80.
I proprietari dell’immobile hanno contestato il provvedimento, sostenendo che le opere fossero state realizzate dai precedenti proprietari, ben prima che loro acquisissero l’immobile nel 2003. A loro dire, non avrebbero alcuna responsabilità per la realizzazione del manufatto, avendo ricevuto la proprietà solo successivamente tramite una donazione.
Tuttavia, il TAR ha chiarito che ciò non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione: l’attuale proprietà implica, infatti, l’assunzione della responsabilità giuridica per qualsiasi abuso presente sull’immobile, indipendentemente dal fatto che chi ne detiene oggi il possesso non sia stato l’artefice materiale dell’opera.
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Il nodo centrale della questione è il concetto di “responsabilità reale” legato agli abusi edilizi. Il giudice ha confermato che il regime sanzionatorio previsto dalla normativa edilizia non si applica solo all’autore materiale dell’abuso, ma anche al proprietario attuale del bene, il quale è tenuto a rispondere degli illeciti edilizi come se ne fosse il diretto responsabile. Questo principio è stato ribadito in numerose sentenze ed è alla base del sistema sanzionatorio in materia edilizia: l’abuso edilizio, una volta accertato, rende passivamente legittimato chiunque sia proprietario al momento della contestazione, senza distinguere tra vecchi e nuovi titolari.
Questa disposizione comporta gravi conseguenze pratiche per chi acquista immobili senza verificare attentamente la loro regolarità urbanistica. Anche se l’acquirente è del tutto ignaro delle irregolarità presenti, può ritrovarsi destinatario di ordini di demolizione e sanzioni amministrative, rischiando di perdere l’investimento e di dover sopportare costi aggiuntivi per il ripristino della legalità edilizia.
Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti principali sollevati dai proprietari riguardava la loro estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva, poiché l’immobile è stato acquisito da loro solo successivamente alla costruzione del fabbricato contestato. A loro parere, il provvedimento avrebbe dovuto essere indirizzato ai precedenti proprietari, che avevano originariamente eseguito l’intervento.
Tuttavia, la posizione del TAR su questo punto è stata chiara e netta: la normativa vigente in materia di abusi edilizi, disciplinata dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, non distingue tra chi ha realizzato materialmente l’opera e chi è semplicemente il titolare attuale della proprietà.
In altre parole, chi detiene oggi la proprietà del bene è passivamente legittimato rispetto agli ordini di ripristino, anche se l’abuso è stato commesso in passato da terzi. La ratio di questa normativa è quella di garantire il ripristino della legalità, concentrando l’obbligo di rimozione sull’attuale titolare, indipendentemente dalla sua responsabilità personale.
Il TAR ha ribadito che l’ordine di demolizione ha carattere reale e segue la proprietà dell’immobile, anziché la persona che ha commesso l’abuso. Questo principio viene applicato per evitare che l’immobile, cambiando di mano nel tempo, diventi un modo per aggirare le sanzioni, mettendo a rischio la stessa efficacia della normativa urbanistica.
La sentenza sottolinea che la responsabilità giuridica del proprietario non è subordinata all’aver causato direttamente l’abuso, ma deriva dal semplice possesso del bene oggetto del provvedimento.
Advertisement - PubblicitàI proprietari hanno contestato anche la validità dell’ordinanza di demolizione sotto il profilo del difetto di motivazione, sostenendo che l’amministrazione comunale non avrebbe esplicitato in modo adeguato le ragioni di pubblico interesse che giustificavano la rimozione dell’abuso. Il loro ragionamento si basava sulla lunga presenza dell’opera (costruita nel 1994), che avrebbe dovuto rendere superflua la demolizione in assenza di motivazioni specifiche.
In sostanza, i ricorrenti ritenevano che la semplice presenza del manufatto per oltre vent’anni costituisse un elemento sufficiente a far prevalere la tutela dell’affidamento rispetto all’esigenza di ripristinare la legalità urbanistica.
Il TAR, tuttavia, ha respinto questa argomentazione, richiamando la giurisprudenza consolidata sul tema. Secondo il giudice, per le opere totalmente prive di titolo edilizio non è necessaria una motivazione che illustri le ragioni di interesse pubblico alla demolizione, poiché queste sono considerate intrinseche alla stessa natura del provvedimento. In altre parole, quando si tratta di abusi “sine titulo” (privi di qualsiasi legittimazione urbanistica), il ripristino della legalità è un obiettivo che non richiede ulteriori spiegazioni: l’esistenza dell’abuso è di per sé motivo sufficiente per ordinare la demolizione.
Un altro elemento di contestazione sollevato dai ricorrenti riguardava l’applicazione del vincolo paesaggistico, introdotto nel 2007, cioè successivamente alla costruzione del manufatto. I proprietari hanno sostenuto che, poiché il vincolo non era esistente al momento della costruzione, non si sarebbe potuta applicare la disciplina più restrittiva prevista per le aree vincolate. Anche questa censura è stata respinta dal TAR, che ha chiarito come la mancanza di un titolo edilizio legittimo sia sufficiente per giustificare l’ordine di demolizione, indipendentemente dall’esistenza o meno di vincoli successivi.
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Questa decisione conferma un principio importante: la possibilità di sanare un abuso edilizio non dipende solo dall’assenza di vincoli, ma richiede comunque la sussistenza di un titolo edilizio valido che legittimi l’opera. In mancanza di questo, l’opera è considerata abusiva e passibile di demolizione, anche se il vincolo è stato apposto in un secondo momento.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del TAR del Lazio n° 1868 del 2024 evidenzia chiaramente i rischi connessi all’acquisto di immobili che presentano irregolarità edilizie, anche se queste sono state realizzate dai precedenti proprietari. Il principio ribadito dal tribunale, secondo cui la responsabilità per l’abuso edilizio grava sull’attuale proprietario, comporta conseguenze significative sia per chi acquista un immobile sia per chi vende.
Di fatto, chiunque acquisisca un bene con difformità urbanistiche potrebbe trovarsi a rispondere di tali irregolarità in sede amministrativa, dovendo far fronte a provvedimenti di demolizione o di ripristino dello stato dei luoghi.
Questo aspetto rende particolarmente delicato il momento della compravendita di immobili, poiché le verifiche preliminari sulla regolarità urbanistica e catastale diventano fondamentali per evitare spiacevoli sorprese. Prima di concludere un acquisto, è quindi essenziale richiedere tutta la documentazione autorizzativa relativa all’immobile e, se necessario, rivolgersi a professionisti qualificati, come architetti o geometri, per effettuare un’accurata verifica della conformità edilizia.
La sentenza pone in luce anche un’altra questione di rilievo: la responsabilità del venditore nel caso di informazioni non veritiere o incomplete fornite all’acquirente. Se l’acquirente dimostra di aver agito in buona fede, ritenendo l’immobile conforme sulla base di quanto dichiarato dal venditore, potrebbe avere margine per richiedere un risarcimento danni. Tuttavia, ciò non impedisce comunque l’esecuzione di provvedimenti demolitori, che restano comunque validi e opponibili al nuovo proprietario.
Pertanto, la buona fede dell’acquirente non esclude né sospende l’obbligo di ripristinare la legalità urbanistica, a meno che non si riesca a sanare l’abuso con un provvedimento specifico.
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Infine, la sentenza è un monito per tutti i proprietari che detengono immobili con abusi edilizi mai regolarizzati: vendere un immobile non regolare può trasferire il problema al nuovo proprietario, ma non elimina le responsabilità giuridiche che possono emergere successivamente. In alcuni casi, la stipula di contratti con clausole di manleva, che escludano la responsabilità del venditore per eventuali abusi, potrebbe non essere sufficiente a tutelare l’acquirente, poiché l’amministrazione può comunque agire sul bene indipendentemente dagli accordi privati tra le parti.
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