Con la sentenza n. 10076/2024, il Consiglio di Stato ha ribadito un principio fondamentale in materia di abusi edilizi: non è sempre possibile evitare la demolizione di un edificio costruito senza il rispetto delle norme urbanistiche, nemmeno con il pagamento di una sanzione.

Al centro di questa decisione vi è un capannone industriale situato in Umbria, realizzato con un permesso di costruire del 2009, poi annullato perché la destinazione d’uso concessa non era conforme agli strumenti urbanistici dell’epoca.

Nel tentativo di evitare l’abbattimento, i proprietari dell’immobile avevano richiesto la cosiddetta “fiscalizzazione dell’abuso”, ovvero la possibilità di mantenere la struttura pagando una multa. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha chiarito che tale strumento è applicabile solo in caso di irregolarità formali o procedurali, non quando l’abuso è legato a difformità sostanziali, come il contrasto con le regole urbanistiche.

Ma quali sono i limiti di questa possibilità di sanatoria? E quando un immobile può davvero essere regolarizzato? Analizziamo nel dettaglio questa sentenza che potrebbe avere importanti conseguenze per il settore edilizio.

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Il capannone che ha scatenato la disputa legale

La vicenda oggetto della sentenza ha origine nel 2009, quando un’impresa ottenne dal Comune di Passignano sul Trasimeno un permesso di costruire per la realizzazione di un capannone industriale destinato a officina meccanica. Tuttavia, un proprietario confinante impugnò l’autorizzazione davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) dell’Umbria, sostenendo che l’intervento non fosse conforme alla normativa urbanistica vigente nell’area interessata.

Il TAR accolse il ricorso, annullando il permesso di costruire poiché la destinazione d’uso autorizzata (officina meccanica per privati) non era compatibile con le norme urbanistiche dell’epoca, che consentivano esclusivamente attività connesse al servizio di mezzi pubblici o attività legate alla mobilità collettiva. Nonostante l’annullamento, la costruzione del capannone fu portata a termine e l’attività avviata.

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Nel corso degli anni successivi, la proprietà tentò più volte di regolarizzare la situazione, richiedendo anche un nuovo permesso di costruire in sanatoria e, infine, la “fiscalizzazione dell’abuso”, una procedura che consente di evitare la demolizione pagando una sanzione pecuniaria, prevista dall’articolo 38 del DPR 380/2001. Tuttavia, il Comune negò questa possibilità, avviando le procedure per l’abbattimento dell’immobile.

La decisione fu impugnata nuovamente davanti al Consiglio di Stato, che ha confermato il diniego, ritenendo che il vizio del permesso di costruire fosse di natura sostanziale e, quindi, non sanabile con il solo pagamento di una multa.

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Norme e fiscalizzazione: perché non tutti gli abusi possono essere sanati?

Al centro della decisione del Consiglio di Stato c’è l’interpretazione dell’articolo 38 del DPR 380/2001, il Testo Unico dell’Edilizia, che disciplina la cosiddetta “fiscalizzazione degli abusi edilizi“. Questo meccanismo consente, in determinate circostanze, di evitare la demolizione di un immobile irregolare attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria.

Tuttavia, la norma stabilisce chiaramente che la fiscalizzazione è applicabile solo in caso di vizi di natura formale o procedurale, come errori nella gestione delle autorizzazioni o carenze documentali. Non può invece essere concessa quando il permesso di costruire è stato annullato per vizi sostanziali, ovvero per contrasto con le norme urbanistiche, come accaduto nel caso di Passignano sul Trasimeno.

Nel caso specifico, il permesso era stato rilasciato per un utilizzo dell’immobile (officina per privati) che non risultava coerente con la destinazione d’uso prevista dal piano regolatore dell’epoca, che ammetteva esclusivamente attività collegate ai mezzi pubblici e alla mobilità collettiva. Questo tipo di irregolarità è considerato un vizio sostanziale, che non può essere sanato con il pagamento di una sanzione.

La sentenza sottolinea anche che la cosiddetta “doppia conformità” è essenziale per la sanatoria edilizia: un’opera deve risultare conforme sia alle norme urbanistiche vigenti al momento della costruzione che a quelle attuali.

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Nel caso in esame, non sussistendo questa doppia conformità, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del diniego alla sanatoria.

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Conclusione

La sentenza n. 10076/2024 del Consiglio di Stato rappresenta un chiaro monito per chi opera nel settore edilizio: il rispetto delle norme urbanistiche e la corretta destinazione d’uso degli immobili non sono aspetti negoziabili. La possibilità di sanare un abuso edilizio tramite la fiscalizzazione è riservata esclusivamente a errori formali e procedurali, mentre i vizi sostanziali, come il contrasto con il piano regolatore, impongono l’obbligo di demolizione dell’immobile.

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Questa pronuncia sottolinea l’importanza di un approccio più attento alla conformità urbanistica sin dalle prime fasi progettuali, scoraggiando ogni tentativo di aggirare le norme attraverso modifiche normative successive.