Una sentenza del TAR Lazio chiarisce quando un intervento edilizio si considera abusivo, distinguendo tra modifiche interne e aumenti di volume. Accolto il ricorso solo per i tramezzi non strutturali.
Negli ultimi anni, la crescente attenzione all’abusivismo edilizio ha portato alla luce moltissimi casi di costruzioni realizzate senza i necessari titoli autorizzativi. Spesso si tratta di interventi che, almeno all’apparenza, sembrano innocui: una veranda chiusa, una stanza in più ricavata da un terrazzo, un piccolo soppalco o un ripiano in muratura.
Tuttavia, dietro queste trasformazioni si celano implicazioni legali complesse, capaci di condurre anche a ordini di demolizione da parte dei Comuni.
È proprio questo il caso affrontato nella sentenza n. 5549/2025 del TAR Lazio, in cui i giudici amministrativi hanno tracciato un confine netto tra ciò che può essere considerato una semplice modifica interna e ciò che, al contrario, configura un vero e proprio abuso edilizio.
Ma quando un’opera edilizia si trasforma in abuso? In quali casi è sufficiente una semplice comunicazione e quando, invece, occorre il permesso di costruire?
E soprattutto: cosa può fare un cittadino quando riceve un ordine di demolizione?
Sommario
Tutto ha avuto inizio nel 2016, quando un condomino del piano terra di una palazzina romana ha sporto denuncia presso la Procura della Repubblica. Il motivo? La presunta realizzazione di una veranda abusiva sull’intero terrazzo dell’ultimo piano. All’interno della struttura, infatti, sarebbe stato costruito un vero e proprio vano in muratura, completo di tetto fisso, utilizzato come un’estensione dell’abitazione principale — di fatto, un vero e proprio salone.
Sebbene l’indagine penale si sia chiusa con l’archiviazione, la segnalazione ha comunque innescato l’intervento degli uffici tecnici di Roma Capitale, che nel settembre del 2020 hanno effettuato un sopralluogo presso l’immobile. Da questo controllo è emersa una lunga serie di difformità edilizie, confrontate con il progetto originario depositato presso gli archivi comunali.
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Nello specifico, le autorità hanno rilevato:
A queste si sono aggiunte ulteriori opere già contestate nel 2017, tra cui:
Sulla base di queste risultanze, Roma Capitale ha emesso una determinazione dirigenziale con cui ha ordinato la rimozione o demolizione di tutte le opere considerate abusive, ai sensi dell’art. 33 del DPR 380/2001 e dell’art. 16 della L.R. Lazio 15/2008.
Advertisement - PubblicitàDi fronte all’ordine di demolizione emesso da Roma Capitale, la proprietaria dell’appartamento ha deciso di impugnare il provvedimento davanti al Tribunale Amministrativo Regionale. Nel suo ricorso, ha sostenuto che l’ordinanza fosse illegittima per diversi motivi, a partire da una presunta violazione delle norme sul procedimento amministrativo (Legge 241/1990) e del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001).
Uno dei principali argomenti portati alla luce dalla ricorrente riguarda l’eccesso di potere da parte dell’amministrazione: secondo la sua tesi, Roma Capitale non avrebbe sufficientemente motivato l’ordine di demolizione, limitandosi a una generica elencazione di presunti abusi senza specificare chiaramente le violazioni commesse e il nesso tra gli interventi contestati e le normative edilizie vigenti.
Un altro punto centrale della difesa è stato l’invocato principio del legittimo affidamento: la proprietaria ha sostenuto che le opere contestate fossero presenti da diversi anni e tollerate nel tempo, il che avrebbe generato in lei la convinzione — errata, ma in buona fede — che fossero ormai “consolidate” e non più contestabili. In sintesi: “Se nessuno ha detto nulla per anni, perché adesso mi si chiede di demolire tutto?”
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Infine, ha anche sottolineato come alcune opere, tra cui le modifiche dei tramezzi interni, non comportassero alcuna trasformazione rilevante dell’immobile o impatto sull’assetto urbano, motivo per cui non sarebbero state soggette a permesso di costruire, ma al più a una semplice CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata).
Advertisement - PubblicitàIl TAR Lazio, con la sentenza n. 5549 del 18 marzo 2025, ha analizzato in modo dettagliato le opere contestate, distinguendo tra interventi effettivamente abusivi e modifiche che, pur irregolari, non giustificano un ordine di demolizione.
In apertura, i giudici sottolineano che l’ordine di demolizione è un atto vincolato (art. 33 del DPR 380/2001), che l’amministrazione può adottare una volta accertata la realizzazione di opere edilizie in assenza di titolo, limitandosi a descrivere i fatti e indicare le norme violate.
Questa impostazione è stata ritenuta correttamente applicata nel caso esaminato: la determinazione comunale fornisce infatti una motivazione “sintetica ma sufficiente”, e individua gli abusi in maniera chiara, come emerso anche dall’esame delle censure presentate dalla stessa ricorrente (punto 6 della sentenza).
Tra le opere qualificate come abusivamente realizzate e quindi soggette a demolizione figurano:
Per tutte queste opere, i giudici richiamano la giurisprudenza amministrativa secondo cui, quando l’intervento determina una significativa trasformazione urbanistica o incide sul volume e la sagoma dell’edificio, esso richiede il permesso di costruire.
A sostegno, la sentenza cita TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, sent. 1 ottobre 2021, n. 6146, che rafforza il principio secondo cui l’impatto effettivo sul territorio prevale sulla classificazione formale dell’intervento.
Inoltre, viene respinta anche la tesi del legittimo affidamento, sostenuta dalla ricorrente, poiché – ribadisce il TAR – “il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento” (richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1637 del 26 febbraio 2021).
Advertisement - PubblicitàSe la maggior parte delle censure è stata respinta, c’è però un punto sul quale il TAR ha accolto le ragioni della proprietaria: la modifica dei tramezzi interni. Secondo i giudici, infatti, questo tipo di intervento non interessa parti strutturali dell’edificio e non altera la volumetria o la sagoma dell’immobile. Di conseguenza, non può essere qualificato come abuso edilizio da sanzionare con una demolizione coattiva.
In casi simili, ha ricordato il Tribunale, non serve il permesso di costruire, ma è sufficiente presentare una CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata), ai sensi dell’art. 6-bis del DPR 380/2001. La mancata presentazione della CILA, pur essendo un’irregolarità, non legittima un ordine di demolizione, ma comporta una sanzione amministrativa di tipo pecuniario.
Questa valutazione ha portato quindi all’annullamento parziale del provvedimento comunale, limitatamente alla parte relativa ai tramezzi interni. Il resto dell’ordinanza di demolizione è rimasto invece pienamente valido, e dovrà essere eseguito nei tempi e nei modi previsti dalla normativa.